Stanno diventando pazzi. Stanno diventando pazzi nell'inseguire le discutibili fortune di Yonghong Li, proprietario e presidente del Milan dall'aprile del 2017, senza riuscire ad arrivare a capo della vicenda. Perché da una parte ci sono i fatti, anzi i milioni di euro, 740 per la precisione, versati nelle casse di Fininvest grazie al prestito del fondo americano Elliott (per 305 milioni), e dall'altra ci sono le inquietanti notizie riferite alla consistenza patrimoniale e all'anonimato che lo circonda in Cina.
L'ultima inchiesta giornalistica del Corsera ha portato alla luce un particolare riferito a una società dell'imprenditore la cui quota deve andare all'asta per pagare la banca creditrice. Di qui i quesiti maliziosi suggeriti sotto voce e che puntano, guarda caso in piena campagna elettorale, a Silvio Berlusconi: a chi ha venduto il Milan? La prima, autorevole risposta, è giunta da Adriano Galliani, fino a qualche mese fa ad del club rossonero, adesso candidato al Senato in un collegio in Lombardia e rimasto tifoso rossonero. Intervistato da Mattino Cinque ha declinato in modo didascalico la scaletta della notissima trattativa riepilogando le tappe condotte con il contributo decisivo di prestigiosi studi legali e advisor (Lazard Italia per Fininvest e Rothschild per i cinesi) molto accreditati. Eccole: «Dopo il closing sono avvenuti tre fatti: 1) Yonghong Li ha presentato a giugno le credenziali in Federcalcio e Lega che sono state accettate; 2) per completare l'operazione il fondo Elliott ha prestato oltre 300 milioni di sicuro dopo aver svolto le relative verifiche; 3) in estate è stata realizzata una campagna acquisti da oltre 200 milioni con le fideiussioni che le norme calcistiche italiane prevedono. A questo punto uno più uno più uno fa tre».
Non solo. Nel frattempo, per l'ordinario svolgimento dell'attività del Milan, sono stati onorati anche gli aumenti di capitale decisi dal cda rossonero.
E allora? Proviamo a riepilogare. Il Milan di ieri ha ottenuto prima le garanzie e poi il rispetto dei patti. Piuttosto è il proprietario del Milan di oggi, quello cinese, allergico alla trasparenza e alla comunicazione, a dover fornire le risposte necessarie. Il club, che pensava di potersi godere un paio di giorni di gloria dopo il successo sulla Samp e la scalata in classifica, ha fatto sapere di non avere nulla da temere dalla vicenda in svolgimento presso il tribunale di Shenzhen. David Han Li, l'uomo di fiducia del presidente, ieri è volato a Londra con Marco Fassone per occuparsi del rifinanziamento del debito con Elliott che è il vero obiettivo vitale per le sorti milaniste. Le trattative fin qui imbastite sono state portate a termine con successo per la parte riferita al club (che risponde per 125 milioni più gli interessi e sono gli unici debiti poiché quelli con le banche sono stati azzerati), non invece per la porzione riferita all'azionista (180 milioni più interessi).
Nel merito inoltre, fonti vicine a Yonghong Li, hanno fornito la seguente ricostruzione: il caso ha riguardato un ramo d'impresa della holding considerato obsoleto, un asset marginale tra le proprietà del presidente Li. La Jie Ande è la controllata con cui l'imprenditore cinese avviò le trattative per l'acquisizione del Milan e ha un debito con la banca Jiangsu: la sentenza del tribunale ha stabilito che per rientrare dal debito deve vendere la sua quota di partecipazione (11,39%) della Zhuahi Zhongfu, azienda di lattine cinesi. Le stesse fonti hanno segnalato infine che la sentenza è di dicembre, arrivata in Italia due mesi dopo.
La conclusione è una sola: fino a quando non ci sarà il rifinanziamento del debito Elliott, in scadenza ad ottobre di quest'anno, Yonghong Li non vivrà giorni spensierati anche se il Milan di Gattuso dovesse scalare la montagna fino a raggiungere un posto in Champions.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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