Pescati Balotelli ed El Shaarawy mettiamo nel cassetto (possibilmente chiuso buttando la chiave) il caso oriundi. Dimentichiamoli una volta per tutte, ringraziamo Schelotto e Osvaldo ultimi della compagnia. La solita fortuna di Prandelli permette di restituire alla Roma Osvaldo senza rancore, lasciandogli la maglia del buon ricordo, per dirla in modo soft. L'esperimento è ancora una volta naufragato, in azzurro abbiamo avuto 39 oriundi ma davvero pochi hanno lasciato il segno. Qualcuno è stato fuoriclasse a prescindere (Libonatti, Monti, Orsi, Schiaffino, Ghiggia, Sivori, Altafini), qualche altro ha avuto la fortuna di trovarsi con la maglia giusta nel momento giusto: l'ultimo Camoranesi campione del mondo in Germania, come nel '34 e '38 lo sono stati De Maria, Guaita, Guarisi (oltre a Monti e Orsi) e Andreolo.
Ripartire da Balotelli e El Shaaarawy significa ripartire da un'Italia diversa, multietnica e figlia di un nuovo mondo. I due sono nati in Italia, i genitori hanno altre storie, ma certamente c'è un rapporto diverso con la terra. Intendiamoci: alcuni oriundi sono legatissimi al nostro Paese, non a caso hanno continuato a vivere qui dopo aver inondato il nostro pallone di buon calcio e meravigliosi gol, ma la generazione Prandelli è stata tutta un buco nell'acqua. Nonostante Thiago Motta che piaceva a tanti allenatori e nonostante Osvaldo che, in fatto di gol, ci sa fare. Prandelli nel tempo è riuscito a rifilarci: Ledesma (il più utile), Amauri (il più inutile), Thiago Motta (il più lumaca), Osvaldo (il più goleador ovvero solo 3 reti) e Schelotto, il più incomprensibile, non a caso finito all'Inter.
Il fatto che Thiago fosse un punto fermo per molti allenatori deve fare riflettere: sicuri che la nostra scuola dei tecnici sia davvero valida? E che dire dello studio Uefa nel quale è sottolineata l'incapacità dei nostri club di crescere e far giocare i giovani del vivaio? Dovrebbe indurre ad altri dubbi. Anche sull'uso degli oriundi: italianizzati per comodo, non tanto per valore assoluto. I club non creano giovani, la nazionale ogni tanto soffre. L'under 21 è sempre stata un'eccellenza, ma solo quella storica di Azeglio Vicini, con Vialli, Mancini, Zenga e compagnia, si è tradotta in una discreta nazionale. L'oriundo è la foglia di fico (termine che va così di moda) per coprire incapacità e scarsa fantasia, poca lungimiranza e un po' di pavidità: lanciare i giovani è un rischio, l'usato sicuro ti mette al riparo. Che poi oggi diciamo giovani e dobbiamo accontentarci di Giovinco, Giaccherini e De Sciglio è problema legato alla scarsa qualità della selezione, della scuola calcistica e del palato poco raffinato in genere. Se Maldini, Cabrini, Facchetti o chissà chi altro si fosse fatto bastonare, come De Sciglio, nell'occasione dei gol brasiliani, nessuno avrebbe inondato di incenso i ragazzini. Stavolta è successo.
C'è palato molto facile ed è stato facile rifilarci oriundi che, forse, avrebbero accettato solo a Malta o nella seconda fascia di mondo calcistico. Vabbè qualcuno sostiene che in quella fascia ci siamo anche noi. Ma gli ultimi europei hanno rivalutato il pallone nostro. Casualmente oppure no, è tutto da scoprire. Almeno, adesso abbiamo capito che gli oriundi fanno passato ma non faranno storia. E gli allenatori dovrebbero rimboccarsi le maniche. Strano che nessuno abbia mai pensato di rivolgersi a ct oriundi. No, sulla panchina solo italiani purosangue con l'eccezione di qualche straniero nelle commissioni tecniche. C'è un legittimo sospetto.
Per ora fidiamoci dell'unico oriundo di cui non ci pentiremo: Bergoglio.
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