Sprecato un fiume di soldi: il Mezzogiorno ha già avuto oltre 180 miliardi in 10 anni

RomaNon sarà il «malato d’Italia», come veniva descritto fino a qualche tempo fa, ma di una buona medicina il Sud ha ancora bisogno. E per sgomberare il campo dagli equivoci non si tratta necessariamente di risorse finanziarie, visto che tra fondi europei e trasferimenti nazionali le Regioni meridionali hanno ricevuto (e riceveranno) tra i 150 e i 180 miliardi di euro negli ultimi dieci anni tra investimenti e bonus fiscali a fronte dei circa 30 ottenuti dal Centro-Nord. Una buona ed efficiente amministrazione, quella cui ha fatto riferimento il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nella nota di domenica scorsa annunciando un «piano innovativo» per il Mezzogiorno, potrebbe trasformarsi in una pillola miracolosa.
A ben guardare i dati complessivi della destinazione di fondi comunitari e nazionali, infatti, si scopre come il Sud in teoria non avrebbe di che lamentarsi. I contributi comunitari del programma 2000-2006 destinati alle aree svantaggiate sono ammontati a oltre 46 miliardi di euro. Fino al 2008 sono stati erogati pagamenti per circa 44 miliardi destinati al finanziamento di oltre 147mila progetti. Il Centro-Nord con una cifra di gran lunga inferiore (14 miliardi) è riuscito a concludere oltre 200mila progetti.
E se si guardano gli accordi di programma (intese tra pubbliche amministrazioni per realizzare interventi di natura economico-sociale o infrastrutturale), nel periodo 2004-2008 il Centro-Nord è riuscito a realizzarne più del Sud impegnando più risorse (17 miliardi contro 14) a fronte di disponibilità inferiori anche a livello di fondi per le aree sottoutilizzate (3,7 miliardi contro 17). Analogamente, se si osserva l’impiego degli stanziamenti a copertura delle leggi di sostegno alle imprese, si scopre che nel periodo 2004-2007 il Mezzogiorno ha usufruito di 17 miliardi contro i poco più di 10 del Centro-Nord. E altri 63 miliardi sono in arrivo per il piano 2007-2013.
I conti della Ragioneria dello Stato rivelano, da un’altra prospettiva, come sugli investimenti il Meridione non sia stato penalizzato. I trasferimenti in conto capitale, cioè i soldi pubblici che sono andati verso le Regioni meridionali, nel 2007 sono stati poco meno di 1,8 miliardi ai quali bisogna aggiungere il miliardo dell’Italia insulare. Al Centro sono toccati 425 milioni e al Nord, nel complesso, un miliardo (528 nel Nordest e 540 nel Nordovest).
Ma la questione meridionale, come ha detto al Giornale il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi è soprattutto un problema di ordinaria amministrazione. Perché se non migliora quella è difficile che gli investimenti producano effetti positivi e il Sud è destinato a restare «il malato d’Italia», per usare un’espressione dell’economista Tito Boeri. E nel rapporto del Dipartimento per le politiche di sviluppo il problema è accennato quando si nota che nel Sud «il rapporto tra la spesa del personale e la spesa totale, utilizzato come indicatore della qualità della spesa, evidenzia il permanere di costi di gestione superiori a quelli del Centro-Nord», anche se negli anni c’è stata una debole riduzione del divario. Dalle cifre del Dipartimento emerge ad esempio che la spesa per pagare gli stipendi nella pubblica amministrazione del 2007 nelle regioni meridionali si attestava intorno ai 27 miliardi e mezzo su una spesa corrente che in totale supera i 122 miliardi. Più o meno il 22,5 per cento; livello identico a quello dell’Italia insulare dove si spendono 14,5 miliardi per il personale a fronte di una spesa totale che si aggira sui 64 miliardi. Poco sotto il Centro Italia, con il 19 per cento della spesa che se ne va per pagare gli impiegati pubblici. Molto diverse le percentuali del Nord: il 13,28% nel Nord-Ovest e il 16,8% nel Nord-Est.
Con queste basi di partenza diventa molto più difficile sostenere la tesi secondo la quale il Mezzogiorno è costantemente penalizzato. In realtà, l’ipertrofia delle amministrazioni pubbliche (anche a livello di spa controllate dagli enti locali) tende a limitare l’impatto delle politiche di sostegno, eccezion fatta per quelle dirette al settore infrastrutturale. Insomma, quando si tratta di venire incontro alle zone più deboli del Paese lo Stato non è mai avaro: il problema è rappresentato dai risultati modesti che questo fiume di soldi ha conseguito giacché si tratta di importi di molto superiori a quelli distribuiti dalla tanto vituperata Cassa per il Mezzogiorno che il ministro dell’Economia Tremonti vorrebbe rifondare.
Vi è poi il problema sul rapporto tra assegnazione delle risorse e spesa segnalato dalla Conferenza delle Regioni con Calabria, Puglia, Campania e Sicilia in drammatico ritardo con percentuali che non superano il 20% e con la Regione guidata da Agazio Loiero ferma a un drammatico 12 per cento tra gli 1,8 miliardi di fondi Fas 2000-2006 assegnati dal Cipe e i soli 222 milioni spesi a fine 2008. D’altronde in tutto il Meridione solo il 20% dei cantieri finanziati con il piano 2000-2006 è stato chiuso. Il ritardo è tutto qui.
Il piano per il Sud che il premier Silvio Berlusconi intende varare ha già individuato le criticità rappresentate da «inefficienze e sperperi».

Bisogna voltare pagina sotto tutti i punti di vista non solo per accelerare i tempi e consentire al Sud di svilupparsi, ma anche per chiudere definitivamente la fase nella quale le agevolazioni alle imprese si sono spesso tradotte in un ammodernamento degli studi di avvocati, medici e dentisti.

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