Gli sprechi dei giudici: perdono 97 euro su 100

I tribunali bruciano milioni per imbastire i processi, ma non si fanno rimborsare le spese. La denuncia del pm Nordio e dell’avvocato Pisapia in un libro: "Soltanto il 3% delle risorse viene recuperato"

Gli sprechi dei giudici: perdono 97 euro su 100

Perizie. Intercettazioni. Notifiche. Milioni su milioni di euro. Spese che lo Stato non recupera, anche se dovrebbe. Inettitudine. Inefficienza. Lentezza. Farraginosità delle procedure. E poi, naturalmente, la gara a nascondino dei condannati che dovrebbero ridare allo Stato i soldi impiegati per farli ascoltare di nascosto, per farli arrestare e per farli punire. La macchina gira a vuoto e alimenta il deficit dello Stato e il senso di frustrazione della collettività. Giuliano Pisapia e Carlo Nordio dedicano un passaggio del loro bellissimo libro In attesa di giustizia a questo scandalo tutto italiano e danno le cifre di questa Caporetto: «Solo il 3 per cento delle spese di giustizia - scrivono i due autori - viene recuperato».

Naturalmente, non se ne parla, o se ne parla poco, perché è più comodo riempire il cielo di geremiadi, di lamenti e di denunce contro lo Stato che è inadempiente, tirchio, con le pezze al sedere. Sarà, ma un lato del problema, come riconosce anche Pisapia, «è proprio lo spreco di risorse, frutto di un conservatorismo miope». La riscossione dei crediti maturati avviene con ritardi abissali e con metodi antiquati. Attenzione: le spese processuali sono molte di più di quelle che sulla carta potrebbero e dovrebbero essere recuperate. Facciamo un esempio: il processo Andreotti a Palermo. Il costo enorme di quell’immane e lunghissima fatica giudiziaria è tutto a carico dello Stato per la semplice ragione che il sentore a vita è stato assolto e dunque non dovrà dare un euro alla pubblica amministrazione. Pesano dunque sulle spalle del contribuente le infinite spese sostenute: le notifiche, le trasferte della corte da una città all’altra, le intercettazioni, i pentiti, le perizie, e altro ancora, tutte voci che, fra parentesi, nessuno è nemmeno in grado di calcolare.

Così, lo stesso schema si riproporrà, per citare un altro caso, a Garlasco per la morte di Chiara Poggi: Alberto Stasi, sempre che l’assoluzione diventi definitiva, non verserà nemmeno un euro e tutti i periti interpellati dal giudice per venire a capo dell’enigma presenteranno le parcelle al tribunale. Benissimo. Ma se l’assassino o lo spacciatore o il colletto bianco viene condannato? Cosa succede?
I meccanismi della riscossione sono lentissimi e malfunzionanti. Non solo: a distanza di anni chi è in carcere gioca la carta, tutta italiana, della remissione del debito. Di che si tratta? Semplice, un giudice di sorveglianza può, come misura premiale per il comportamento tenuto in cella, estinguere il debito che l’interessato non ha mai saldato. Basta un’udienza e con un tratto di penna il magistrato può cancellare i debiti di migliaia e migliaia di euro. È quello che di norma avviene, anni e anni dopo i fatti, nel segreto di una stanza del tribunale. Del resto il magistrato, sia pure animato da un buonismo all’italiana, non fa altro che applicare la legge. Dunque, se ritagliamo solo i processi chiusi con condanne, su 100 euro lo Stato ne riprende 3. Solo 3. Un disastro. E infatti al ministero della Giustizia sostengono che sarebbe meno dispendioso non provare nemmeno a recuperare i crediti, perché il tentativo, quasi sempre fallimentare, può costare cinque o dieci. Molto più di quel che torna indietro.
A via Arenula, alla sede del ministero, lasciano però la porta aperta alla speranza e ipotizzano che la situazione possa cambiare. Anzi, il cambiamento è già iniziato. Dal 1° gennaio 2009 è partita la rivoluzione che dovrebbe far voltare pagina: non sarà più l’ufficio del campione penale ad andare alla caccia dei beni dei condannati, ma Equitalia giustizia, una società interamente controllata dal ministero dell’Economia e gestita, si spera, con i criteri con cui si manda avanti un’azienda. La convenzione operativa fra via Arenula e Equitalia giustizia deve ancora essere firmata e siamo quindi in una fase preliminare. Per tentare un primo bilancio occorrerà attendere mesi se non anni, intanto l’inseguimento ai debitori continua. Come prima.
Basta pensare ad un capitolo che di solito l’opinione pubblica sottovaluta, perché poco spettacolare: quello delle notifiche. Ogni notifica - spiegano in via Arenula - costa fra gli 8 e i 10 euro. Quotidianamente gli ufficiali giudiziari notificano a vuoto centinaia di atti, fra errori e cambi di indirizzo, senza contare poi la ricerca impossibile di irreperibili e clandestini di cui nessuno conosce l’esatta identità se non la nazionalità.

È uno spreco colossale di energie e di risorse. Così come sono altissime le spese per il gratuito patrocinio, altra voce ormai fuori controllo. Centinaia di imputati, dai molti alias ma senza un euro, vengono difesi fino in Cassazione. E a pagare è sempre lo Stato.

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