Lo stupefacente stupore di una città assopitasi sognando la grandeur letteraria e risvegliata dellincubo di un gigantesco pata-crac culturale. A Torino, per statuto albertino capitale dellunderstatement, tutti si stupiscono del ciclone che ha spazzato via il castello di carta del Grinzane. Stupiti delle accuse rivolte al signore e patron Giuliano Soria, stupiti dellinchiesta che sta mettendo il luce lallegra gestione economica della nobile istituzione, stupiti dellarresto delluomo che ormai si sentiva il sindaco ad honorem di Librolandia, un immenso impero esteso dal Piemonte a San Pietroburgo, da Costigliole a San Paolo, sul quale non tramonta mai il Sapere.
Don Giuliano, recita laccusa, «gestiva le risorse del Grinzane Cavour come una cosa propria»: una parte dei contributi del ministero, della Regione Piemonte, della Provincia e del Comune di Torino, di fondazione bancarie e grandi aziende - un tesoro di quattro milioni e mezzo lanno - veniva stornato per le proprie faccende private. In tutto una mole di quasi un milione di euro. Eppure nessuno fra quanti hanno frequentato il Grinzane, e naturalmente noi giornalisti per primi, ha mai pensato ci fosse qualcosa di strano... Il mondo degli intellettuali, per consuetudine portato al pensiero e alla riflessione, non ha mai avuto un dubbio. Un sospetto. Eppure.
Eppure bastava poco. Bastava il lusso del «salotto» Grinzane rispetto a un ambiente, quello letterario, molto poco abituato allo sfarzo. Bastava un viaggio allestero alla corte dellimperatore Giuliano, la cui famiglia e famigli è difficile pensare pagassero di tasca propria. Bastava la cifra di 10mila euro per premiare Carlo Verdone al Grinzane Cinema, purché venisse ritirarlo a Stresa. Profumo di business improprio si sentiva già sul lago Maggiore, figurarsi a Torino.
Eppure, a sentire lintellighentia sabauda, amici scrittori e colleghi professori, Soria era un «tipo difficile» sì, ma le accuse «inverosimili». In questo mese hanno confessato ai giornali, e anche oggi al Giornale, che mai si sarebbero aspettati che... Il filosofo Gianni Vattimo quando ha saputo la cosa ha fatto «un balzo sulla sedia». Al primo momento. Al secondo ha pensato che «probabilmente qualcuno si sta vendicando per il fatto che il Grinzane era diventato troppo potente». Il critico Lorenzo Mondo, già presidente della Giuria dei critici e poi coordinatore del Premio, si è detto «sorpreso dellimprovvisa accelerazione della vicenda e anche della durezza dellarresto: non discuto le ragioni della magistratura, ma per la vecchia amicizia e per gli anni in cui abbiamo lavorato bene insieme, spero ancora in un grande equivoco». «Sì, pensavo che il Grinzane fosse diventato eccessivamente dispendioso e senza significativi ritorni culturali, mi accorgevo di sprechi e un gigantismo eccessivo... ma della gestione finanziaria non sapevamo e non potevamo sapere nulla».
Non si poteva sapere o era impossibile non sapere? Lo scrittore Alessandro Perissinotto, vincitore nel 2005, «sorpreso» dellintera vicenda e a maggior ragione dellarresto, ammette «un dispiegamento di mezzi eccessivo rispetto agli obiettivi», «ma del resto il Grinzane era una grande macchina che richiedeva grandi finanziamenti, e come erano gestiti i soldi non era dato sapere né allesterno né allinterno». È stato «colto di sorpresa» Alain Elkann, altro giurato eccellente, e anche Arnaldo Colasanti, che il Grinzane lo vinse nel 2001: «O questuomo oggi in prigione è un mostro, nel qual caso sono preoccupato per me che in tanti anni non me ne sono mai accorto, o a chiunque può capitare a sorpresa qualsiasi cosa».
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