Ha indossato la maglia verde-oro mentre consegnava a François Pienaar la coppa del mondo appena conquistata dagli Springboks nel 95. E avrebbe voluto farlo ancora, Nelson Mandela, sabato a Parigi quando il Sud Africa affronterà lInghilterra nellultimo atto del mondiale di rugby. Il leggendario ex presidente sudafricano, però, è stato fermato prudentemente dai medici: a 89 anni un viaggio così lungo potrebbe essere rischioso. Eppure Mandela aveva già preparato proprio quella maglia, con quella gazzella sul petto che è stato il simbolo del potere boero, dellapartheid, di quello che lui ha sempre contrastato. Per questo quella maglia indossata allora dal padre della rainbow nation diventa oggi un contestato simbolo di unità. Vorrebbero togliere la gazzella ricamata sul petto. Vorrebbero metterci il meno problematico fiore di protea. Thabo Mbeki, il nuovo presidente sudafricano, ha tagliato corto, rivolgendosi ai ragazzi prima del debutto nella coppa del mondo. «Voi arrivate in finale. La gazzella non si tocca».
Quello del simbolo resta un tasto delicato per il Sud Africa. Nel rugby si è arrivati a chiedere squadre che rispettassero una proporzione tra razze. Oggi i neri anche nellovale sono una realtà. Giocatori completi, professionisti di alto livello come Bryan Habana, estrazione alto borghese, otto mete a Francia 2007. Il rugby sudafricano ha pagato tanto durante gli anni dellapartheid e non ci ha messo molto a rientrare tra le grandi. La prima partita dopo la fine dellisolamento venne giocata nel 1992 a Johannesburg contro la Nuova Zelanda. Tre anni dopo arrivò la vittoria nella Coppa del mondo grazie al drop di Stransky e alle mete di un altro giocatrore di colore come Chester Williams. Giocatori che pur di giocare ad alto livello non hanno esitato a partire per lEuropa. Come Naas Botha e Gert Smal, passati per Rovigo, autentici monumenti come Danie Gerber che ha giocato con LAquila.
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