Sprone alle banche: «Avanti con nuove fusioni»

Sprone alle banche: «Avanti con nuove fusioni»

nostro inviato a Torino

Nel Monòpoli del credito nazionale c’è ancora spazio per ampliare le «proprietà» dei singoli giocatori, ma la bontà dalla governance dualistica alla tedesca deve essere verificata nei fatti ed è tempo di mettere mano anche alla normativa delle banche popolari. Davanti agli operatori finanziari convenuti ieri al Lingotto per la tredicesima edizione del Forex, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha ripreso i fili del new deal inaugurato lo scorso anno a Cagliari, quando invitò i signori del credito a unire le forze per competere a livello europeo. Diciotto pagine nelle quali l’ex direttore generale del Tesoro traccia il programma di una Vigilanza «moderna, agile» che renderà più facile l’apertura di nuovi sportelli, ma «allo stesso tempo inflessibile».
«Necessarie altre nozze». Parte del percorso è compiuto ma, malgrado la presenza di giganti come Unicredit-Hvb e Intesa Sanpaolo, l’Italia rimane il mercato più frammentato rispetto all’Europa. «C’è ancora spazio per operazioni di concentrazione», specie per le banche medio-grandi protagoniste della fascia «immediatamente successiva alle posizioni di vertice», ha detto Draghi senza sbilanciarsi su storie specifiche. Il pensiero della platea è subito volato sulle realtà ancora da accasare: a partire da Mps, Popolare di Milano e Capitalia, dove i grandi esclusi del Santander hanno di recente annunciato di aver racimolato un po’ meno del 2 per cento. La Vigilanza, che interpreta il consolidamento come la chiave della concorrenza e quindi della riduzione dei costi alla clientela, «non promuove o indirizza» le nozze «né le ostacola» ha proseguito il governatore snocciolando i numeri del Vecchio continente. Dove, nel periodo 2001-2005 sono spariti oltre 900 operatori: «Nei Paesi dell’area euro la quota dei primi 5 intermediari sul totale dell’attivo è salita di circa 4 punti, al 43 per cento». In Italia «nello stesso periodo la concentrazione del sistema» è scesa dal 46 al 44% per poi risalire al 48% l’ultimo anno. Differente la diagnosi del presidente dell’Abi, Corrado Faissola, che considera «adeguata» la situazione nel Paese imputando il nanismo evidenziato da Draghi «alla forza delle banche di credito cooperativo che hanno guadagnato importanti quote di mercato».
I dubbi sul modello tedesco. Il custode di Palazzo Koch si è quindi riservato una successiva valutazione sul sistema di governo alla tedesca, uno dei fattori rivelatisi trainanti nel consolidamento, tanto da essere scelto sia da Intesa Sanpaolo sia da Bpi-Bpvn sia da Lombarda-Popolari Unite.
Malgrado «i promotori» abbiano adottato questa soluzione per valorizzare «tradizione e patrimonio di esperienza» preesistente, il governatore intravede il rischio di «una non chiara distinzione di ruoli e di responsabilità, con pregiudizio per l’efficienza e la rapidità delle decisioni». Parole che Draghi ha scandito davanti all’intero vertice di Ca’ de Sass, sottolineando che «meriti e limiti delle scelte compiute andranno valutati alla luce dei fatti. Il modello dualistico ha agevolato i processi di aggregazione, ma può non dimostrarsi funzionale in futuro. In tal caso occorrerà ovviare alle carenze riscontrate con spirito pragmatico».
Popolari da «correggere». La disamina del governatore si è quindi soffermata sul sonnacchioso mondo delle popolari, ieri per lo più assente al Forex. Fatti salvi i principi cooperativi, il Parlamento dovrebbe rivederne la governance aumentando lo spazio a disposizione degli investitori esterni «nella partecipazione al capitale» e nei processi decisionali.

L’ordinamento attuale «può non piacere» ma Via Nazionale deve «esigere il rispetto formale e sostanziale delle norme esistenti», ha proseguito il banchiere con un riferimento perlomeno indiretto al piano con cui il Crédit Mutuel puntava a rafforzarsi in Bipiemme per mezzo di un bond convertibile funzionale allo sposalizio con Bpi. Infine il rinnovato invito a rendere «autonome» e indipendenti le società che gestiscono i fondi di investimento, di cui è necessario rivedere il regime impositivo così da renderli competitivi.

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