La stada giusta

Che strano Paese è il nostro, anche se spesso le stranezze di molti sono più legate ad interessi lobbistici o comunque relazionali che non ad una libera valutazione dei fatti. Ci riferiamo alle nozze tra la holding dei Benetton che controlla il 50,1 per cento della Società Autostrade e la spagnola Abertis, gruppo che controlla caselli autostradali ed aeroporti e che è presente in molti Paesi europei. La stranezza richiamata sta nel giudizio negativo di alcuni leader della nuova maggioranza (Rutelli, Bersani e comparse varie) su questa operazione, preoccupati, sentite sentite, della difesa della italianità. Sbagliamo o abbiamo visto ieri parte rilevante del centrosinistra tifare per gli spagnoli della Bbva che volevano acquistare la Banca nazionale del lavoro, storico istituto di credito del Tesoro italiano? E non abbiamo dimenticato gli applausi che lo stesso centrosinistra ha riservato ai francesi della Bnp-Paribas quando si sono sostituiti agli spagnoli nell’acquisto della Bnl togliendo così dall’imbarazzo il nuovo governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, consulente degli stessi spagnoli nell’assalto alla banca di via Veneto.
Ma l’elenco delle contraddizioni non finisce qui. Ci brucia ancora, ad esempio, il ricordo della vicenda Antonveneta nella quale, al di là delle condotte penalmente rilevanti di Fiorani, lo schieramento del centrosinistra ha salutato con grande calore, sotto la sapiente regia di Guido Rossi e con le strane iniziative societarie della Procura di Milano, la conquista della banca del Nord Est da parte degli olandesi dell’Abn Amro. Fummo tra i pochi, in quei mesi, a spiegare che l’offensiva sui nostri istituti di credito senza alcuna reciprocità, delineava un processo intollerabile di colonizzazione crescente. Fummo ignorati o derisi e ci dovemmo sorbire lezioni di europeizzazione della struttura finanziaria del nostro Paese che bollavano come «retrò» la nostra difesa dell’italianità. Per non parlare, poi, del cortigiano elogio che gli stessi ambienti del centrosinistra riservarono ad Alessandro Profumo per la fusione dell’Unicredit con la tedesca Hvb. Le idee, naturalmente, possono mutare senza che per questo qualcuno gridi allo scandalo. Ad una condizione, però, che si motivino chiaramente le ragioni del proprio cambiamento. Finora su questo terreno, non abbiamo letto una sola ragione degna di nota.
Per quanto ci riguarda, invece, noi non abbiamo cambiato idea ritenendo che l’internazionalizzazione della nostra economia non si debba limitare a lasciarci comprare come è avvenuto per larga parte del settore finanziario e di altri settori strategici nell’immobilismo complice del famoso salotto buono del capitalismo italiano. E proprio perché restiamo fedeli alla nostra idea di italianità e del suo protagonismo nel riassetto del capitalismo europeo riteniamo che l’operazione della famiglia Benetton sia a prima vista degna di essere sostenuta. Nella fusione italospagnola, infatti, il primo azionista resterà l’italiana Schema28 con il 25 per cento mentre i due soci maggiori spagnoli avranno rispettivamente il 13 per cento (Caixa) e il 14 per cento (Acs). Nella lodatissima fusione tra Unicredito e Hvb il ruolo di primo azionista, invece, è passato di mano finendo in quelle tedesche del colosso assicurativo Munich Re. Qualcuno potrà dire che in quel caso le tre fondazioni bancarie italiane (Crt, Cariverona e Cassamarca) e Carimonte insieme superano di qualche punto Munich Re. Chi dovesse ragionare in questi termini dimenticherebbe la forza finanziaria del colosso Munich Re e l’oggettivo nanismo delle nostre pur rispettabili fondazioni.
Di qui, dunque, il nostro giudizio positivo sull’operazione di fusione che si sta realizzando perché si tratta di una internazionalizzazione di una holding in cui il capitalismo italiano manterrà un ruolo fondamentale attraverso la presenza di un gruppo, quello della famiglia Benetton, abituato a competere sui mercati internazionali. È solo il caso di ricordare che cosa è diventata l’Autogrill in pochi anni conquistando quote importanti del mercato internazionale della ristorazione a cominciare da quello americano.
Ma c’è di più. Mai come in questo caso governo e Parlamento italiani manterranno tra le proprie mani il bandolo della matassa essendo la Società Autostrade concessionaria dello Stato italiano con tanto di convenzione in cui sono contemplate tariffe e obblighi di investimenti. Come si vede, da qualunque parte la si consideri, l’operazione di fusione è positiva e non mette in discussione gli interessi infrastrutturali del nostro Paese. Al contrario nasce, così, con la partecipazione italiana, un colosso finanziario che sarà protagonista autorevole nella realizzazione delle grandi reti transeuropee per le quali il Parlamento di Strasburgo ha stanziato risorse considerevoli.

Ecco perché ci sembra strana questa levata di scudi del cosiddetto Ulivo il cui governo, peraltro, fu quello che privatizzò le Autostrade vendendole alla famiglia Benetton e che nello spazio di pochi mesi passa dall’applauso ai francesi e agli olandesi che hanno comprato banche italiane importanti alla contrarietà ad una fusione che esalta, invece, l’italianità e il suo protagonismo.

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