Stalking senza fine: lo perseguita in vita poi profana la tomba

Chissà cosa agli aveva fatto di così terribile. Chissà che motivo c’era per far sopravvivere l’odio anche alla morte. Proprio così, dodici anni dopo la morte dell’odiato dipendente, il datore di lavoro continuava a infierire contro la memoria dei familiari imbrattando la tomba del «nemico» con scritte oscene e offensive nei confronti della moglie e dei figli del defunto. Dopo averli tormentati anche con 240 telefonate - riporta oggi il quotidiano «Alto Adig»e - il giorno dei funerali, datati luglio 1998.
Alla fine i carabinieri di Noale, dopo un’indagine condotta a colpi di appostamenti e riprese video condotte al cimitero, hanno denunciato Bruno Michielan per vilipendio della tomba e per diffamazione. In attesa che la giustizia faccia il suo corso, la signora Gabriella ora almeno spera che suo marito Dino Vallotto, morto a 47 anni il 24 luglio 1998, possa finalmente riposare in pace.
Una storia incredibile, in cui dolore e odio si mescolano in maniera misteriosa. Tutto inizia una quindicina di anni fa, quando Vallotto lavora alle dipendenze di Michielan e abita, tu guarda i casi della vita, nello stesso palazzo di via degli Ontani a Noale (Venezia), lui nell’appartamento di sopra e il datore di lavoro in quello di sotto. È in quel periodo che Vallotto inizia a ricevere telefonate anonime. Tante, a tutte le ore, al punto da rendere impossibile la vita a lui, alla moglie Gabriella e ai due figli. Nessuno sospetta di Michielan e, a dire la verità, a nessuno della famiglia Vallotto viene in mente chi possa essere il «molestatore». Chi mai avrebbe motivo di rovinare la vita a una famiglia normalissima che conduce una vita tranquilla in provincia di Venezia?
I Vallotto si lambiccano il cervello ma non arriva alcuna risposta. In compenso le telefonate continuano e così il capofamiglia va nella caserma dei carabinieri, che sta nella stessa del palazzo dove vive, e denuncia l’accaduto. «Non ne possiamo più, fate qualcosa».
Gli inquirenti mettono il telefono sotto controllo. Il destino si incarica di scrivere una variante tragica a questa vicenda che, fino a quel momento, era rimasta confinata in quel mare magnum che oggi si può definire stalking telefonico. Sì, perché a Dino Vallotto viene diagnosticato un male incurabile e nel luglio del 1998 questo morbo maligno se lo porta via. Il molestatore è così persistente che anche nel giorno dei funerali tempesta l’abitazione della famiglia di telefonate. Piccolo dettaglio: Michielan si era nel frattempo trasferito a Massanzago (Padova).
I carabinieri non mollano l’inchiesta e scoprono che a fare tutte queste telefonate era stato proprio il datore di lavoro di Vallotto. «Non avevamo mai sospettato di lui - ha raccontato la vedova al «Gazzettino» - e ricordo che dopo la morte di mio marito Michielan era venuto a portarmi i soldi della liquidazione con le ultime buste paga. Ci lasciammo in buona armonia».
La prescrizione aveva interrotto il procedimento giudiziario. Poi, a distanza di tanto tempo, sono comparse le scritte sulla tomba.

I carabinieri non hanno dubbi, le loro indagini hanno portato all’identificazione della stessa persona che faceva le telefonate mute. Dopo essere stato denunciato, gli hanno sequestrato i pennarelli con cui lordava la tomba. Basterà?

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