La stanza di Mario Cervi

Gentilissimo Dottor Cervi,
Leon Battista Alberti ebbe a scrivere: «il fine della vita è la dolcezza del vivere». Se siamo convinti che ciò sia vero, allora abbiamo sbagliato tutto. Le regole che ci siamo dati ci castigano dal mattino alla sera, i punti di riferimento che ci possono dare qualche sollievo sono stati cancellati, si è deciso di non dare alcuna impronta al nostro futuro. Ciò non ci fa vivere meglio. Le famiglie si sfasciano. Non solo: adesso neppure più si formano. La natalità è da incubo, si nasce solo per sbaglio. Molti si ritroveranno ad invecchiare senza parenti, senza figli, soli come cani. Ciò poteva accadere anche in passato, ma si trattava di casi sfortunati. La norma era che le parentele erano più estese, le famiglie più numerose e coese, si viveva meglio, cioè più felici, anche con meno mezzi che oggi. Tali mezzi stanno per venir meno. La crisi attuale non è passeggera, come ci piacerebbe credere, ma strutturale. Le pensioni del passato ce le possiamo scordare. Abbiamo buttato il cervello all’ammasso, seguendo falsi miti. Credo che serva una pausa di riflessione. Le regole vanno ripensate, perché quelle che ci siamo dati ci hanno rovinato. C’è bisogno di sostenere la famiglia, di recuperare la “religione” (quella sociale, cioè la coesione, la solidarietà), i principi etici, ora calpestati dalle leggi di mercato, e – perché no? - la spiritualità.

C’è bisogno di svincolarsi da un eterno presente e di investire sul futuro, cioè sui figli (che sono scomparsi). Altrimenti avviamoci verso una più o meno dorata infelicità. Ma chi è causa del suo mal pianga se stesso. Lei come la pensa?
Salò

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