la stanza di Mario CerviLa meritocrazia negli uffici pubblici ha un sacco di nemici

Le cose spesso non funzionano in Italia perché la meritocrazia continua ad essere poca praticata, mentre continuano ad essere premiati i vincoli familiari, le fedeltà di partito, le rendite di posizione, le appartenenze a clan di vario ordine e grado.
Lido di Ostia–Roma

Caro Pulimanti, il suo appello alla meritocrazia non è isolato. Si aggiunge a innumerevoli altri appelli che invocano un'Italia nella quale le assunzioni, le promozioni, le premiazioni avvengano in base a valutazioni concrete e non in base ad appartenenze politiche, o familiari, o di clan. Il guaio è che quando si tratta di passare dalle parole ai fatti nella pubblica amministrazione la voglia di meritocrazia si affloscia e il più delle volte defunge. Fioccano la richieste di raccomandazione, i ricorsi al Tar contro le bocciature, i gridi di dolore per le crudeli ingiustizie degli apparati. Non è che le ingiustizie manchino, anzi. Ma derivano anche dalla richiesta insistente d'un egualitarismo antimeritocratico. Ho ricordato altre volte come sia finito lo sforzo meritocratico d'un ministero economico dal quale era strato deciso di dare un riconoscimento speciale -di denaro o di carriera- agli assi di quella branca dell'amministrazione. Venuto il momento dei consuntivi, fu chiesto di dire quali e quanti fossero i funzionari d'eccelsa capacità. La risposta fu semplice: tutti. E i sindacati chiesero che il riconoscimento fosse concesso anticipatamente. Questa è l'unica meritocrazia ammessa dai mandarini ministeriali e subministeriali.
P.S.

In una precedente «stanza», dedicata ai cani, è stato scritto per colpa del solito diavoletto tipografico che il mio bisnipotino Andrea ha l'età di sette anni e mezzo. Ne ha invece tre e mezzo. Lo preciso per evitare querele del suddetto.

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