la stanza di Mario CerviL'Italia sognata dai padri antichi c'è (fra difetti, risse e divisioni)

Quando vedo portare corone e sento suonare l'inno per le diverse ricorrenze patrie mi domando se non siano ormai manifestazioni superate perché dispendiose e false, e tali da meritare l'oblio. Ho in testa, dai lontanissimi anni del liceo, terribili frasi storiche: «L'Italia è la terra dei morti» di Alphonse de Lamartine: «Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello» di Dante Alighieri; «In Italia tutto è a mezzo» di Pier Paolo Pasolini. Foto impietose di una Nazione, se così possiamo definirla. Da sempre nel nostro Paese le cose si fanno alla carlona. Pressappochismo generale e odio: Romolo e Remo, Guelfi e Ghibellini, Nord e Sud, Montecchi e Capuleti, Regioni e Regioni a statuto speciale, rossi e neri. Ruberie a tutti i livelli, furbizie, mafia, 'ndrangheta, malasanità, malagiustizia, media che seminano odio e falsità. Luridume nelle strade, cemento e frane ovunque. Livello scolastico piatto. Ma che Nazione è la nostra? Di cosa dobbiamo essere orgogliosi? Volete continuare a prenderci in giro con cerimonie farlocche? Accomodatevi. Dalle mie finestre difficilmente sventolerà il tricolore.
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Caro Gasperoni, per la seconda volta in pochi giorni rispondo a un lettore che vede nell'Italia una parodia di nazione e un assemblaggio di miserie morali e materiali. Il che rende grotteschi i discorsi con cui i governanti del brutto Paese si adoperano per celebrarne gli eventi gloriosi, a cominciare dall'Unità. Non voglio ripetermi e mi limito a qualche osservazione. Trattate come lei tratta quella italiana, le storie di molti altri Paesi - inclusi i più lodati - risulterebbero suppergiù dello stesso livello. Così pure i grandi protagonisti delle vicende umane - se rapportati soltanto alle loro miserie, alle loro debolezze e alle loro bassezze - verrebbero ridotti ad una dimensione squallida. Alle sue citazioni letterarie aggiungo Petrarca e Leopardi - «Italia mia benché 'l parlar sia indarno», «O patria mia, vedo le mura e gli archi» e via scrivendo. Un sèguito d'accuse poetiche. Alle quali spesso si associava la speranza che, liberata dal dominio straniero, realizzata nei suoi confini naturali, questa benedetta e maledetta penisola si riscattasse da secoli di servaggio. L'Italia che quei padri sognavano, oggi bene o male c'è. È anzi diventata una delle maggiori potenze economiche. Noi cittadini scontenti le rovesciamo addosso i nostri legittimi malumori. Che secondo me non possono e non devono ignorare la conquista, avvenuta nel corso degli ultimi due secoli e pagata con la vita di centinaia di migliaia d'italiani, d'una Patria.

Ci sono le risse quotidiane dei politici - esistevano anche in tempi remoti con i guelfi e i ghibellini, e tra i rissanti c'era l'Alighieri - ma non per questo vale la pena di buttar via il nostro passato, il nostro presente, il nostro avvenire.

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