Affermo senza alcuna cautela che dell'estromissione della nazionale di calcio dai mondiali me ne infischio e confesso che mi sono inventato qualsiasi cosa piuttosto che sorbirmi una qualsiasi partita in tv. Piuttosto, alla luce dell'ennesimo fallimento agonistico, spero che qualcuno procuri di calmierare al ribasso gli ingaggi dei calciatori, categoria privilegiata che ostenta cafonal, una redditività prodotta indubbiamente con i piedi e solo talvolta di testa. Ma ciò che più mi preme rilevare con soddisfazione è la totale assenza nelle strade delle temporanee ammissioni di orgoglio nazionale, poiché non aduso, sgangherato e vulnerato con urla ancestrali e trombe assordanti. Una festa grossolana con sventolio di tricolori poi riposti chissà dove o gettati tra ciò che non si usa più: una sveltina d'amor patrio ogni quattro anni, mi ha sempre suscitato amaro stupore.
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Caro Careggio, lei non è interessato alle vittorie della nazionale di calcio, e non ho nulla da obbiettare. Ma credo sappia che il suo sentimento e il suo comportamento non sono condivisi dalla stragrande maggioranza degli italiani, i quali per seguire le imprese azzurre si assiepano a milioni davanti ai televisori, e non si scandalizzano nemmeno tanto se informati dei favolosi compensi dei migliori pedatori. Tuttavia, e senza troppo concedere a facili moralismi, scrivo che: 1) Non mi convince il parallelismo tra le misere sorti della squadra di Prandelli e le misere sorti dell'Italia. Oltretutto mi pare strano che questo parallelismo non sia stato affermato nei confronti dell'Inghilterra, sconfitta come noi e peggio di noi in Brasile. 2) La dimensione di lutto nazionale da alcuni attribuita all'infortunio pallonaro suona abbastanza incongrua in un Paese che - cedo anch'io al «benaltrismo» imperversante - ha affrontato e subìto sventure di ben maggiore gravità. Diamoci una calmata. 3) L'Italia ha innumerevoli difetti e carenze. Ma una certa voluttà dell'autoflagellazione che è di gran moda - spesso a scopo politico - ci dipinge a tinte molto più fosche di quelle reali. Ci portiamo addosso, da secoli, giudizi negativi.
Lamartine definì l'Italia «la terra dei morti» e gli italiani «poussière humaine», polvere umana. Cerchiamo di non compiacere i denigratori antichi e contemporanei. L'Italia è meglio della sua nazionale di calcio, l'attuale intendo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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