Star da Hollywood con tanto di cappello

Immaginate un po’ che fine farebbe il mito del Bogart di Casablanca senza l’intramontabile trench ma soprattutto senza il Borsalino calato sul sopracciglio. E provate a immaginarvi la coppia Belushi-Aykroyd di Blues Brothers senza gli inseparabili «trilby» di feltro nero calati sulle demenziali zucche, o ancora Charlie Chaplin e Stanlio e Ollio compiere ridicole scorribande orfani delle loro bombette. Esistono scaffali interi nella storia della cinematografia che eleggono il cappello vero e proprio caposaldo narrativo, protagonista degno di un oscar, artefice subliminale del carisma di un personaggio. E che personaggi. Al fortunato sodalizio tra copricapi e celluloide è dedicata un’originale mostra che si apre questa settimana negli spazi della Triennale di viale Alemagna a cura di Gianni Canova e della Fondazione Borsalino. Una mostra inedita che dal cinema muto a quello di oggi vede scorrere un vero e proprio collage multimediale di star di Hollywood che anche ai loro inseparabili cappelli devono parte della notorietà. «In Sabrina il cappello segna la trasformazione parigina di Audrey Hepburn in donna di classe, i cappelli di Greta Garbo in Ninotchka sono segni precursori della fine del comunismo - sottoilineano i curatori - e al cinema il cappello crea mode e tendenze: da James Dean che negli anni ’50 lancia il grande cappello con falda rialzata al colbacco che con Il dottor Zivago entra a far parte del vestiario occidentale, al berretto di lana de Il cacciatore a quello di Rocky che diventa il copricapo popolare degli anni ’70. Senza dimenticare che grandi registi hanno depositato la propria icona in un’immagine col cappello: da Federico Fellini a Sergio Leone ad Orson Welles».
Una mostra particolare e articolata secondo nuclei tematici. Il primo, dedicato al tema dell’identità, svela all’interno di un grande cilindro multimediale il ruolo del cappello come chiave della personalità dei grandi della celluloide, sino all’emblematico dialogo di Peter Falk ne Il Cielo Sopra Berlino di Wim Wenders in cui attraverso la ricerca del cappello giusto si racconta il cambio di identità sotteso a ogni cambio di copricapo: gangster, borghese, eccessivo, comico. La seconda sezione è invece dedicata al «cappello che emoziona» ovvero, in una sequenza di sale, la raffigurazione dei sentimenti di divertimento, seduzione o paura suscitati nel cinema dal copricapo. Nella sezione successiva, i più famosi scappellamenti cinematografici, ovvero codici comportamentali vecchi e nuovi che hanno negli attori i massimi interpreti di segni che ci raccontano un decoro perduto e i più attuali costumi.

Dedicato alla babele dei nomi la terza ala che racconta in un’installazione multimediale una lunga lista di appellativi divenuti simboli di appartenenza: dal Borsalino, nome proprio divenuto sinonimo di cappello classico maschile, al basco, all’elmo, al casco, alla coppola, al turbante, alla bombetta, al colbacco, berretto o feluca. E chi più ne ha più se ne metta.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica