Meraviglia, meraviglia! Un'ondata d'ammirazione coinvolge la città di Milano il sette di dicembre, accomunando la fiera degli «Oh bèj, oh bèj!» con le sue due o trecento bancarelle di cianfrusaglie stupefacenti, la festa di Sant'Ambrogio e l'apertura della stagione alla Scala. Nei ricordi si mescolano nebbiolina, freddo alle orecchie, caldarroste, ingorghi a strozzatraffico per proteggere il presidente della Repubblica in visita, luci di Natale dove il fedele è visto come compratore, e Verdi, o Donizetti o Puccini, o qualcuno dei grandi del passato da onorare. Quest'anno è Wagner, in un'opera mitica e sconvolgente, Tristan und Isolde, che in italiano suona, con inflessione più grassoccia, Tristano e Isotta. E in italiano si eseguiva, fino a quando si privilegiava la comunicazione sulla fedeltà oggettiva, e un malloppo musicale di quasi quattro ore in tedesco era pesante da affrontare. Ora la traduzione che alla Scala viene snocciolata via via sugli schienali delle poltrone rende molto più agevole orientarsi e il suono più drastico della lingua tedesca si sposa alla musica con forza nativa. La parola è importante, non soltanto perché scritta con cocciuto impegno da Wagner stesso, ma perché conduce all'essenza dell'opera, la quale ha pochi fatti, tanti e densi dialoghi, descrizioni e riflessioni. Quanto ai fatti, per lunghi quarti d'ora non succede niente.
RESTARE LEGGERI
Non è dunque quello che si usa dire un'opera leggera. Chiede concentrazione e impegno, ed è opportuno andarci nutriti ma leggeri, o, se la si ascolta su Radiotre o la si vede e ascolta nei luoghi in cui viene proiettata, tenersi accanto sigari e sigarette, caffè e zabaglione. L'evento dell'inaugurazione è infatti popolare, e tutti vorrebbero parteciparvi, ma se vi mettete in ascolto e non riuscite a prendere il suo passo, non è il caso che vi sentiate estranei al teatro d'opera. Richiesti d'un parere, è probabile che vi troviate fra le espressioni «affascinante ma faticoso» e «faticoso ma affascinante».
LA STORIA
Riguarda un fatale filtro d'amore e i suoi riflessi sui personaggi. Ha per fonte un poema cavalleresco del Duecento, passato attraverso una leggenda celtica, e più che non rappresentare fatti, vuole celebrare la forza assoluta dell'amore che travolge ogni altra realtà e vince ogni ostacolo, amore che chiede l'unione assoluta con la persona amata, smemorandosi nel tempo, dimenticando morale e azione, destinato ad annullarsi nella morte. Il primo atto si svolge sulla nave con cui l'eroe Tristan deve portare la principessa d'Irlanda, Isolde, in Cornovaglia a suo zio il Re Marke, cui è destinata forzatamente in sposa; ed ella crede di offrirgli una bevanda mortale ed anch'essa ne beve, ma l'ancella Brangane l'ha sostituita con un filtro d'amore che li lega indissolubilmente. Nel secondo atto, l'incontro segreto e clandestino fra i due è un'esaltante invocazione alla Notte, che trionfa sugli inganni del Giorno, ed all'amore che trionfa sulla morte. Vengono scoperti, Tristan è rimproverato lungamente dal re tradito e ferito da un cavaliere che credeva amico. Il terzo atto è il lamento di Tristan ferito, nel suo castello in Bretagna e la spasmodica attesa della nave che porta Isolde da lui; ma ella potrà soltanto vederlo morire, assistere all'inutile e cruenta lotta fra gli uomini di re Marke venuto su un'altra nave a perdonare e i sostenitori di Tristan, ed intonare il suo immortale canto d'amore.
IL COMPOSITORE
Richard Wagner la compose fra il 1857 e il 1859, e la fece rappresentare a Monaco nel 1865. Era nato nel 1813. L'opera risente d'una doppia immersione: nella lettura di Schopenauer con l'oscura volontà di vivere che si scontra con l'ineliminabile tragedia dell'esistenza, e nel tempestoso amore con Mathilde Wesendonck, moglie dell'amico che l'aveva ospitato a Zurigo. Vi affluiscono riminiscenze di filosofie orientali. Libri e libri sono stati scritti sull'argomento.
LA MUSICA
È quello che oggi si direbbe estrema: nell'ansia di esprimere passioni smisurate al confine della vita, dilata le relazioni dell'armonia fino a portare gli accordi e le sensazioni che destano al punto del non ritorno; ci sentiamo costantemente lacerati e desiderosi tanto di rientrare nelle certezze della musica tonale quale abbiamo conosciuta per secoli quanto di uscirne definitivamente. Il canto è come immerso nell'orchestra ma la parola cantata ne è anche la forza trascinante...
LA SERATA
Alla Scala c'è una grande tradizione, per quest'opera: la diressero Serafin, Toscanini, de Sabata, Karajan, Maazel, Carlos Kleiber. Ora è affidata a Daniel Baremboim, musicista di versatilità stupefacente, e ad una compagnia di canto dove Isolde è Waltraut Meier, che qui interpretò fra l'altro, di Wagner, una Walkiria da urlo. La regia è di Patrice Chéreau, che abbiamo visto crescere al Piccolo teatro di Milano e che con Barenboim ha realizzato a Parigi un Wozzeck che costringeva ad un lungo silenzio prima di riprendersi; alla Scala ha firmato un Lucio Silla mozartiano che ha fatto epoca. Con lui sono gli abituali collaboratori, lo scenografo Peduzzi, la costumista Bickel. I programmi di sala sono come sempre un prestigioso volumone costoso da leggere chissà quando. Questa volta, il battage per la serata inaugurale è stato lodevolmente più moderato, con minor trionfalismo.
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