Roma - Lo Stato nelle sue varie articolazioni è un cattivo datore di lavoro. Non tratta male i dipendenti, versa regolarmente lo stipendio, ma in passato ha fatto quello che a un professionista o a un responsabile di azienda potrebbe costare la galera: non ha pagato i contributi. La vicenda è emersa in parte quando la fusione tra Inps e Inpdap (l'istituto dei dipendenti pubblici abolito dal governo Monti) ha portato i bilanci della previdenza in rosso. Insieme alla struttura - poco efficiente e per niente informatizzata - l'ente ha ereditato un risultato di esercizio in perdita per cifre che oscillano tra i 5 e gli 11 miliardi all'anno.
Lo Stato ha in sostanza scaricato la sua gestione in perdita sui conti della previdenza privata, assicurando che avrebbe ripianato di anno in anno il buco. Tutto quadra quindi. E il presidente dell'Inps Tito Boeri non perde occasione per sottolineare come la situazione sia in equilibrio.
Discorso valido per l'amministrazione centrale dello Stato, ma lo stesso non si può dire per gli enti locali. Il vero buco della previdenza è destinato a diventare quello di comuni, province e regioni perché in questo caso lo Stato non è disposto, perlomeno in forma diretta, a coprirlo.
Viste le cifre si capisce il perché. La Cpdel, cassa ex Inpdap degli enti locali, ha un debito accumulato di 53,48 miliardi di euro e una perdita di esercizio che nel bilancio di previsione del 2016 è di 6,89 miliardi di euro. Con questo ritmo il debito potrebbe raddoppiare in meno di 10 anni. Un motivo di preoccupazione per la tenuta dei conti della previdenza. Ma anche per quelli pubblici in generale, viste le dimensioni.
La previdenza degli enti locali, come quella dell'amministrazione centrale, è in rosso perché nella Pa c'è poco turn over, cioè ci sono sempre meno lavoratori attivi e sempre più pensionati. Ma anche perché in passato varie amministrazioni pubbliche non hanno versato i contributi. Quando ci fu la fusione Inps-Inpdap l'istituto di via Ciro il Grande si ritrovò con zero contributi fino al 1996 (non esisteva una gestione previdenziale della Pa e lo Stato si limitava a pagare le pensioni). Ma anche negli anni successivi un caos di pagamenti a macchia di leopardo.
Il Civ dell'Inps, il Consiglio di indirizzo e vigilanza che approva il bilancio, ha cercato di fare un po' di chiarezza. «Ci sono 200 comuni in dissesto. Siamo sicuri che abbiano pagato i contributi?», chiede Gian Paolo Patta, esponente Cgil e membro del Civ per il quale dirige la Commissione economica. Ad esempio Roma ha un debito di 13,7 miliardi. In gran parte verso amministrazioni pubbliche «possibile ci sia anche l'Inps», spiega il sindacalista.
Il Civ ha chiesto più volte di avere l'elenco degli enti che non hanno accantonato i soldi per i contributi dei dipendenti. «Non ce l'hanno mai dato, hanno anche sostenuto che non si può per la privacy», lamenta Luigi Scardaone, rappresentante della Uil nel Civ, che da anni respinge con il suo voto il bilancio Inps.
Il Civ ha anche chiesto all'Inps di mandare negli enti locali degli ispettori che verifichino il regolare pagamento dei
contributi. Ma non c'è stata mai risposta. Paura che l'arma dei controlli venga utilizzata per motivi politici. O che emergano gestioni pessime. Ai datori di lavoro privati non è concesso lo stesso trattamento di favore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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