«Stavo morendo e don Gnocchi mi ha salvato»

SANTO Per la cerimonia di beatificazione, domenica si sono radunati in 50mila sul sagrato del Duomo

«Stavo morendo e don Gnocchi mi ha salvato»

Andai a trovarlo nell’autunno del 2005. L’appuntamento era a Villa d’Adda, il suo paese, ma l’autostrada Milano-Bergamo era un delirio. Abbandonai il nastro d’asfalto, gli dissi di raggiungermi a Dalmine. Mangiammo una pizza e io, ricordandomi di un certo San Tommaso, cominciai a ironizzare sul miracolo, allora presunto anche per la Chiesa e ancora tutto da dimostrare, di cui era stato protagonista tanti anni prima, il 17 agosto 1979. Aldeni Sperandio, come si vede era anche semanticamente ben messo, era un solido artigiano ormai sulla settantina. Parlava in dialetto bergamasco, e molte parole correvano via senza che le potessi afferrare, ma più andava avanti e più mi convincevo che fosse un uomo quadrato. Uno che aveva messo su famiglia, aveva lavorato come elettricista per una vita, aveva dato una mano ai poveri e al massimo votava Lega perché lo Stato si ricordava di lui solo per fargli pagare le tasse.
Aldeni parlava pacatamente, senza enfasi, quasi con pudore di quel che gli era capitato un quarto di secolo prima: «Ero in una cabina di trasformazione e un mio collega, sventurato, sbagliò interruttore e fece partire una scarica da quindicimila volt che mi prese in pieno». Andava avanti nel racconto e mi chiedevo dove fosse l’inghippo, ma l’inghippo non c’era. Le cose erano andate davvero così: «Sentii un tuono fortissimo, poi vidi il fulmine che mi veniva addosso e mi portava la morte. Cominciai a vibrare come una foglia, mi rimpicciolii schiacciato da una forza inarrestabile e mi trovai ridotto a quaranta centimetri. Caddi per terra, picchiai la fronte, gli occhi si chiusero. Pensai fosse per sempre, ero scosso in tutto il corpo da fremiti violentissimi. Ma pregavo don Carlo, lo imploravo di non farmi morire e intanto sentivo un odore nauseante di carne bruciata: la mia».
Ascoltavo. Ad un certo punto, di botto, gli chiesi: «Ma non è che lei si è inventato tutto?». Mi guardò con compassione, si tolse davanti a tutti le scarpe e le calze, mi mostrò due buchi enormi sotto le piante dei piedi. Il fulmine è uscito da qui, dopo aver attraversato tutto il corpo. Guardi, guardi, tocchi questi buchi. Erano quindicimila volt. Tre volte la sedia elettrica degli Stati Uniti».
Ma sì, se c’è un miracolo, uno che è stato possibile certificare, è quello che ha avuto per protagonisti don Carlo Gnocchi, prete ed educatore, e Aldeni Sperandio, elettricista di Villa d’Adda. Quando Aldeni arrivò al pronto soccorso, il medico che lo visitò si chiese soltanto quanti minuti avrebbe resistito quel catorcio umano, devastato da quell’incendio senza rimedio. «Ma io - raccontava lui - continuavo a pregare e continuavo a non morire». Così per settimane, fra medici, lastre e radiografie. Finché un bel giorno, Aldeni tornò a casa. Guarito. E riprese a fare l’elettricista: «Don Carlo mi ha salvato». La cosa più incredibile dei miracoli, ripeteva Chesterton, è che qualche volta accadono per davvero. Il miracolo di Aldeni è straordinario perché contemporaneo: avviene nella Lombardia di fine anni Settanta, praticamente sotto i nostri occhi. Ed è quell’avvenimento ad aver spinto don Carlo sugli altari. Purtroppo, domenica Aldeni non c’era. Un cancro se l’è portato via un paio d’anni fa. Andai a fargli visita al San Paolo, reparto oncologia.

Mi accolse sorridendo: «Mi piacerebbe esserci il giorno che faranno beato don Carlo ma temo di non farcela e mi piacerebbe fare ancora del bene, ma credo che il mio tempo sia finito». Fu interrogato ancora in punto di morte, poi finalmente il Vaticano riconobbe l’evento e di conseguenza sbloccò la beatificazione di don Gnocchi. Domenica, sul sagrato del Duomo, mancava solo Aldeni Sperandio.

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