Non credo sia un caso se una biografia di Stevenson inizia raccontando di un piroscafo in viaggio nellOceano, sulla rotta verso lAmerica. Su quella nave, lo scrittore scozzese viaggia per raggiungere la donna che, più tardi, sposerà. Ma tante sono le ragioni per cui quel percorso resterà un momento topico della sua vita.
Da sempre, mare e oceano rappresentano la metafora più forte per raffigurare totalità indistinte, assolute. E un pensatore come Serres ha saputo vedere perfino oltre il confine di metafore e simboli: il mare è movimento allo stato purissimo, originario, indistinto. È il luogo-matrice di tutti i possibili luoghi, anteriorità, spazialità assoluta rispetto a ogni inquadramento razionalizzante. È «qualcosa» di locale e, insieme di globale. Ed è sonorità, rumore di fondo ineliminabile. Ancora, Serres sostiene che lartista di genio non è tanto colui che conferisce una forma a quellindifferenziato, bensì chi riesce a sentirne e trattenerne leco, laura. È accaduto a pochi. Stevenson è stato uno di quei pochi e, forse, risale proprio al viaggio verso lAmerica lintuizione che anche un racconto, una poesia, unopera darte deve mantenere le tracce di quel fondo e di quel rumorìo primigenio.
Consentiamoci unulteriore prova a quanto veniamo sostenendo. Stevenson, il figlio dellingegnere in rotta con il padre ma ancora semiabbiente, viaggia in terza classe. Rinuncia alle comodità, al cibo sano, alla distanza dai rollii della nave. Si mischia alla massa demigranti, avventurieri, gentaglia infima, futuri cittadini dAmerica. Perché certi artisti (Dickens, Baudelaire... ) amano andare tra la folla? Forse, perché proprio nella folla è dato cogliere, di nuovo, lindifferenziato come brusìo, come insieme di voci e controvoci confuso.
Dunque, in quel viaggio Stevenson ha compiuto un apprendistato (conscio, inconscio... ) decisivo. Non fu lunico, e la biografia di Roberto Mussapi Tusitala, il narratore (Ponte alle Grazie, pagg. 155, euro 14) si incarica di coglierli tutti, i momenti critici della sua vita. Quando una vocazione ancora astratta e solo possibile passa alla fase della «formazione» un autore, si dice, già intuisce che, prima o poi, arriverà lopera. Non ne conosce nulla, ma già lafferra con una mistura di certezza assoluta e immotivata e di precognizione informe, confusa. È uno stato danimo certamente strano, anomalo: ancora distante dal progetto, dallarchitettura, dalla nozione stessa del lavoro che verrà. Ma è la radice di ogni creazione artistica, il suo enigma, il suo «prima». Come esiste un regno del precategoriale, forse esiste un regno del precreativo. E Mussapi lha rintracciato in Stevenson. Raccontando volta per volta le situazioni, i luoghi, i climi, i contatti umani, i contrasti di colori, la luminosità e loscurità che, attraverso infinite mediazioni e passaggi e travasi, si riverseranno nelle pagine.
Lisola del tesoro, Il Master di Ballantrae, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde vengono da lontano. Dalla mano e dalla testa di Stevenson, dalla sua memoria, dalla sua visionarietà. E la mente e la memoria e visionarietà come si sono formati, perché hanno assunto quellassetto e non altri? Qui, ripercorrere una vita non basta, per rispondere. Bisogna rintracciare che cosa cera attorno a quella vita, bisogna far «lavorare» una sorta di fantasia empatica e riafferrare i momenti, i luoghi, i colori, i climi decisivi e irripetibili. Quelli in cui la vita prende le sue strade decisive, i suoi momenti di biforcazione.
È questa la struttura paradossale delle biografie autentiche, quelle che mirano a ricostruire lorigine delle opere e di chi le ha scritte: sono, in verità, dei racconti. Come, appunto, la storia di Mussapi sulla vita di Stevenson. Uomo delicato, entusiasta di esistere. Dotato di una saggezza anomala, capace di gesti imprevedibili. Genio.
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