Stiffoni nel mirino dei pm: la Lega lo caccia

MilanoDopo un lungo faccia a faccia con i pm milanesi, solo dieci giorni fa, il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni aveva preso carta e penna, e lanciato alle agenzie un comunicato al veleno. «Con Francesco Belsito (ex tesoriere del Carroccio, ndr) non avevo alcun rapporto di frequentazione personale o professionale». Quanto agli investimenti sospetti, «ho utilizzato esclusivamente i risparmi personali, e i documenti consegnati ai magistrati lo confermano». Per questo «ho ritenuto di dovermi presentare in Procura a tutela del mio nome, del mio onore e del partito in cui sono stato eletto». Tutto questo, «pur non essendo indagato». E minacciando querele. Ecco, il rischio è che le cose cambino. Perché Stiffoni è da tempo nel mirino dei pm che stanno scavando nell’uso «allegro» fatto anche dei fondi pubblici versati da Palazzo Madama al gruppo dei senatori lumbard. Ma ora l’ex membro del comitato amministrativo di via Bellerio (che nel frattempo è passato al Gruppo misto) si trova in bilico, a pochi centimetri da un’iscrizione nel registro degli indagati con un’ipotesi di peculato. E tanto per chiudere male la giornata, ieri è arrivata la radiazione dal partito. «Stiffoni - ha detto il segretario in pectore del Carroccio Roberto Maroni - è stato messo fuori», cancellato «dal libro dei soci ordinari militanti». Il che «equivale a un’espulsione».
Ma il problema del senatore, ora, sono i pm Alfredo Robeldo, Roberto Pellicano e Paolo Filippini, assai poco convinti che abbia loro raccontato tutta la verità. Tanto che - si scopre adesso - la sua audizione come persona informata sui fatti avvenuta lo scorso 20 aprile è stata interrotta dai magistrati dopo una serie di incongruenze su alcune operazioni fatte sul conto del Carroccio in Senato, e firmate da Stiffoni. Cosa accade in quel pomeriggio di dieci giorni fa? Stiffoni si presenta negli uffici della Procura di Milano da testimone, ma accompagnato dal suo legale, l’avvocato Agostino D’Antuoni. Con sé ha una ventiquattrore piena di documenti che - dice - proverebbero la sua estraneità ai magheggi contabili di Belsito. L’interrogatorio inizia. Le prime domande riguardano gli ormai famosi diamanti comprati dall’ex tesoriere con i soldi della Lega (dodici acquistati e, come scritto dal Giornale, solo 11 riconsegnati), dalla senatrice Rosi Mauro e dallo stesso Stiffoni. Il sospetto degli inquirenti è che l’operazione sia stata conclusa utilizzando la cassa di via Bellerio, ma tutti e tre negano. «Avendo lavorato per oltre venti anni in banca - dirà poi il politico leghista - ho scelto quando, dove e come mettere al sicuro i miei soldi». Tutto in regola, sostiene. Tutto alla luce del sole, e con i risparmi personali. Quella spiegazione, però, non basta alla Procura, che sta analizzando i conti bancari del senatore, convinta che il denaro versato alla Intermarket diamond business spa sia stato in realtà sottratto al partito. Ma il fatto è che, a un certo punto, l’interrogatorio passa a un altro tema. Quello dei finanziamenti riservati dal Senato ai gruppi parlamentari. Qualcosa non torna. L’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia segnala alla Procura una serie di operazioni fatte da Stiffoni dal conto Bnl in Senato, su cui ogni anno transitano diversi milioni di euro (tra i 3 e i 4 milioni solo per tra il 2010 e il 2011) destinati unicamente alla gestione delle spese del gruppo parlamentare del Carroccio. E quando i pm iniziano a scandagliare l’argomento, le risposte del senatore si fanno meno convincenti. Soprattutto, sembrano contraddire gli esiti dei primi accertamenti eseguiti dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria su una serie di assegni circolari e prelievi in contanti effettuati dal politico leghista, che su quel conto aveva la delega fino a tre giorni fa. I magistrati, a quel punto, fermano l’interrogatorio.

Una settimana più tardi (è il 27 aprile) i pm milanesi sentono come testimone il capogruppo della Lega in Senato Federico Bricolo, titolare della firma sul conto in Bnl, che ha negato di essere a conoscenza delle operazioni finanziarie concluse dal collega di Palazzo Madama. Stiffoni, arrivato in Procura da testimone, ha quindi rischiato di uscire da indagato. Ma il cambio di status, a questo punto, potrebbe essere solo questione di (poco) tempo.

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