«Il Riformista» e «Il Fatto», come a dire i quotidiani d'opinione (quotidiano d'opinione è quello che in edicola vende due copie) più radical e più chic dell'universo radicalchic, ieri hanno ovviamente dedicato l'apertura alla notizia del giorno: la bocciatura del Lodo Alfano. E l'hanno fatto in questo modo: intendendo evocare Piazzale Loreto, il «Riformista» ha sbattuto in prima pagina una fotografia di Berlusconi a testa in giù. Preferendo andare subito sul sodo, il secondo ha scelto invece una grande scritta: «lodo». Avendo cura, però, di mutare le «o» in bracciali di manette tenute insieme da una catenella.
Stiamo parlando di due quotidiani che si dicono di classe e di gusto, fiori all'occhiello del popolo sinceramente democratico. Diretti da due campioni - Antonio Polito e Antonio Padellaro - del giornalismo intelligente, libero e va da sé indipendente. Che però non hanno saputo trattenere entro i limiti fisiologici la loro ragion d'essere umana e professionale: l'antiberlusconismo bilioso e rabbioso. Il «Riformista» facendo strame dello stile azzimato che riflette quello di Polito, uno che sembra uscito da un vecchio catalogo delle Confezioni Facis. Confermando alla grande, il «Fatto», di essere il giornale manettaro che è. È difficile decidere a quale dei due assegnare il primato nel becerume, nella gaglioffaggine giornalistica. Citando Piazzale Loreto, uno degli episodi più disgustosi della storia patria, il patibolare Polito manifesta acute affinità elettive non solo con chi si compiace di appendere la gente a testa in giù, ma anche e io credo soprattutto, con quanti poi presero a calci il cadavere e vi urinarono sopra. E par di capire che in questo modo amerebbe procedere con le spoglie ancorché virtuali del Cavaliere. Qualcosa più di un linciaggio, una vera e propria «macelleria messicana», per dirla con Terracini.
Padellaro, bisogna ammetterlo, mostra un animo meno abbietto di Polito, pur se come misura di odio siamo lì. Cioè a livelli preoccupanti per la salute mentale dei due direttori (l'odio, si sa, è un sentimento che dà alla testa). Non vuole Berlusconi appeso, lo vuole, però ante tempo, in manette. In ciò contraddicendo se stesso e Travaglio (il quale seguita a menarla con la storia che la linea politica del «Fatto» è dettata dalla Costituzione) perché la Carta si compiace di ricordare, anche ai Padellari, anche ai Travagli, che «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». E se proprio vogliamo dirla tutta, ballando la rumba sulle macerie del Lodo Alfano Padellaro fa rivoltare nella tomba i Padri costituenti. Perché loro, sant'uomini, vollero quell'articolo 68 relativo alle immunità dei membri del Parlamento. Articolo che quell'altro guardiano dei Principi e dei Valori democratici e antifascisti della Costituzione, Oscar Luigi Scalfaro, macchiandosi di lesa maestà costituzionale si premurò di fare abrogare (tanto, a lui cosa glie ne importava? S'era ritagliato un Lodo tutto per sé, quello del «Non ci sto!» e via andare).
Tirando le somme, nel dare notizia della sentenza della Consulta, i due Antonio hanno fatto il paio confermando, con le loro oscene similitudini, vuoi una sostanziale ottusità di pensiero, vuoi la natura politica e anzi, precipuamente antiberlusconiana della bocciatura del Lodo Alfano.
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