Politica

Lo stile Master & Commander del «capitano» Ralph Lauren

Per la prossima estate una collezione ispirata al sogno nautico dei grandi yacht. Il suo segreto: rendere speciale la normalità

Daniela Fedi

da New York

Alte, magre, bionde, con gli occhi azzurri e l'andatura elastica di chi ha sempre fatto tanto sport: sono tutte così le donne che lavorano per Ralph Lauren, dalle segretarie alle potenti produttrici della sua sfilata andata in scena l'altro giorno a New York. Del resto lui che è lo stilista più ricco del mondo e il più famoso tra gli americani, ha costruito un impero dei segni con un giro d'affari annuo di oltre 10 miliardi di euro basandosi proprio sugli stereotipi del cosiddetto American dream. Sogni e segni, dunque. Che l'impeccabile collezione per la prossima primavera/estate riassumeva in un’immagine nautica con capi tipici da vacanze sugli yacht tra Martha's Vineyard e Nantucket sapientemente mescolati alle divise della marina militare inglese del bel tempo che fu. Per intenderci è come se il capitano Jack «Lucky» Aubrey, ovvero l'indimenticabile Russell Crowe di Master& Commander, cedesse la sua marsina ricamata a una bellissima signora bionda in pantaloni bianchi e alti sandali d'oro come la rete da pesca contenente una busta di coccodrillo che le fa da borsetta. Il tutto con strepitosi classici dell'eleganza marinara: la blusa da bucaniere bianca oppure con le tipiche righe trasversali delle camicie marchiate dal giocatore di polo, il cappottino in pesante cotone blu altrimenti detto peacot, i candidi jeans decorati da una marea di timbri corrispondenti ad altrettante prove di navigazione. Niente di nuovo, dunque. Ma il segreto del successo di Ralph Lauren sta proprio nel saper rendere la normalità molto speciale.
Ad applaudire la sfilata da cui inizia il conto alla rovescia per i festeggiamenti dei 40 anni del marchio previsti per il 2007, c'era anche Lauren Bush, nipote dell'ex presidente e di quello in carica oltre che futura moglie del primogenito dello stilista, David Lauren. Inevitabili le battute sul cacofonico assemblaggio tra il nome di lei e il cognome di lui mentre dal punto di vista estetico non c'è proprio niente da dire perché i due ragazzi incarnano fisicamente la quintessenza del sogno americano. Purtroppo per le strade di New York più incasinate del solito a causa del summit per i 60 anni dell'Onu, la realtà è ben diversa: povera gente all'ultimo stadio dell'obesità mentre i ricchi sono più ricchi e magri che mai. Anche per questo, forse, la tendenza emersa dalla tornata di sfilate newyorkesi appena conclusa è una sterzata decisa verso le forme scampanate (Francisco Costa per Calvin Klein) oppure a uovo (Donna Karan) che stanno bene unicamente alle filiformi. La Karan ha talmente insistito sul taglio ovale dei suoi modelli da meritarsi un titolo tra il serio e il faceto come «Donna ha fatto l'uovo». Niente da dire, invece, sull'idea dell'abito inteso come nuova gonna: una costante quotidiana del guardaroba femminile. Bello anche l'assemblaggio cromatico (nero e blu, marrone e nero, giallo-giunchiglia e color corda) mentre le stampe ispirate a Jackson Pollock oppure ai grafismi di Mondrian, non aggiungevano nulla allo stile dei capi. In compenso l'assenza delle classiche giacche e del sempiterno tailleur, veniva compensata dalla presenza quasi ossessiva per il giorno di quei deliziosi giacchini annodati sotto il seno che dopo Cristobal Balenciaga nessuno ha saputo fare come si deve tranne Miuccia Prada.

Non a caso gli addetti ai lavori della moda statunitense hanno una vera venerazione per la geniale signora del Made in Italy e per la nostra eleganza in generale.

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