Paola Bulbarelli
da Milano
Parte la settimana della moda milanese, una kermesse da cento sfilate e centotrenta presentazioni sparse per la città ed è subito tendenza. Una tendenza che in pratica dà chiari diktat: vestitevi sexy, ovvero svestitevi. Per fortuna tra ciò che si è visto sulle passerelle e il momento in cui si indosserà passeranno quasi sette mesi dato che si tratta delle collezioni per la prossima primavera estate. Un tempo necessario per metabolizzare costumi da blue bell, gonne dalla lunghezza inguinale, scollature vertiginose, trasparenze inequivocabili. Nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire. Soprattutto quando si tratta di defilé dove, troppo spesso, a parlare non sono gli abiti ma gli escamotage per fare notizia. Però capita anche che quel che è considerato normale possa diventare speciale. E lo speciale, questa volta, si chiama Normaluisa. Che per intrigare non usa natiche e seni esibiti ma un trucco facile facile eppure efficacissimo: nessuno sa chi sia. È tutto un mistero, un enigma. Il suo biglietto da visita sono i suoi vestiti ricercatissimi dalle star hollywoodiane che, per prime, li hanno scoperti e voluti a tutti i costi. Si sa che ha ventotto anni e il padre è un importante industriale tessile italiano. Si sa che è timida: una timidezza che è diventata un marketing straordinario. Si sa che Sharon Stone, arrivata in Italia con 18 valigie griffate Vuitton per diversi cambi dabito, abbia comunque convocato la misteriosa amica stilista, prontamente giunta da Milano con bauli zeppi di capi.
Anche questa volta, Normaluisa ha scelto di non apparire. Lidentità di uno stilista è importante per apprezzarne le creazioni? Normaluisa pensa di no. Ma è senzaltro vero che questo segreto crea intorno alla griffe un allure unica. La collezione, indossata da ragazze dal volto coperto da una rivista (non a caso Vogue) è fatta di vestitini impalpabili e leggeri, tinta unita o a piccole stampe, corti da lasciare scoperte le ginocchia, ovviamente, mai volgari. Contaminati da una vaga aria Anni Quaranta, nulla urla ma tutto è interpretabile con libertà, nulla è coordinato ma tutto può essere indossato a seconda della personalità e dellumore. Perché colpisce senza una pubblicità o un tam tam da rotocalco? Forse larcano sta proprio lì. La trovata funziona. Ogni donna lha scoperta per conto suo e ora può contare centoventi punti vendita dello shopping mondiale.
Ha un nome altisonante sin dalla nascita (1921) e persone in carne e ossa di riferimento (Matteo Montezemolo e Alfredo Canessa) un marchio della levatura di Ballantyne. In questo caso il processo di identificazione valorizza il prodotto. Un prodotto senza eguali, di altissima qualità che può permettersi di racchiudere certe sue maglie tra vetrine di plexiglass come se fossero opere darte, un viaggio negli Anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta lungo le limited editions di pullover arrivati dallarchivio Ballantyne in Scozia. Oggi, quelle stesse lavorazioni a telaio fatte a mano resistono nel tempo grazie ad artigiani magliai dalla pazienza certosina che si sono tramandati una professionalità incredibile di padre in figlio. Basti pensare che a seconda della complessità del disegno e degli abbinamenti dei colori, per realizzare una maglia a intarsio sono necessarie dalle 5 alle 15 ore. Parrebbe una follia in un mondo che corre a perdifiato e che usa il computer anche per fare il caffè. E tutto continua sulla stessa strada anche per la prossima stagione calda: ecco la gamma di colori infinita, ecco il cashmere impalpabile come una garza o il cotone extrafine che tanto si infilano con piacere Nicole Kidman e Keira Knightley. A un nome storico come Ballantyne se ne affianca un altro come Mandarina Duck che sposa la creatività i Yohji Yamamoto finita in 21 modelli, fra cui sette pezzi unici da indossare come una seconda pelle, capaci di trasformarsi da abito in accessorio. Anche i costumi da bagno rivelano doti camaleontiche. Pur essendo ridottissimi, non si accontentano della spiaggia ma amano uscire allo scoperto pure la sera.
Sia da Pin Up che da Miss Bikini, due marchi che le signore delle località balneari più alla moda, si strappano di mano, hanno puntato su colori e fantasie abbaglianti, su copricostume particolarmente scenografici, su ricami e applicazioni fatte addirittura a mano. Cè addirittura Maria Buccellati che i suoi costumi li chiama Beach Couture tanto sono preziosi.
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