Antonio Lodetti
Sting fu tra i primi a parlare di apertura a nuove culture, di comunione totale con altri suoni. Era questo il significato del suo provocatorio «Il rock è morto», tantè che lui il rock non lha mai abbandonato (vedere i due splendidi concerti italiani di fine giugno), lha semplicemente modellato sui mille colori della musica globale.
Ora però Sting è pronto al grande passo; a metà settembre uscirà il suo nuovo album. Certamente non volerà in vetta alla hit parade, né sarà uno dei dischi più scaricati da Internet; perché sarà un disco di musica classica. Anzi, antica. Songs From the Labyrinth (inciso per la Deutsche Grammophone, unistituzione per i dischi classici) sarà un raffinato tributo, per sola voce e liuto, allopera del compositore inglese (nato in Irlanda) John Dowland. Un grande artista Dowland, che scrisse meravigliosi songs fondendo rigore accademico ed echi folk (come la popolarissima allepoca Flow My Tears) ballate, madrigali e brani a più voci per liuto. Sting rivive lopera di Dowland con rigore ma anche con curiosità ed un pizzico di incoscienza. «Queste per me sono canzoni pop del 1600 - scrive sul suo sito ufficiale - e io le vivo così, melodie splendide, testi fantastici, grandi arrangiamenti. Sarà la colonna sonora in parole e musica della vita di Dowland, un artista che è la mia piacevole ossessione da circa ventanni». Da molto tempo Sting gira attorno alla musica colta, spinto anche dal suo chitarrista Dominic Miller (che Sting definisce «la mia mano destra») che si avventura frequentemente nei territori classici con dischi come Shapes. «Miller mi ha regalato un liuto del sedicesimo secolo - prosegue Sting - uno strumento affascinante con un sacco di corde. Così ho cominciato ad ascoltare i brani per voce e liuto di Dowland. Lo considero il primo vero cantautore inglese e tutti noi siamo suoi discepoli in un modo o nellaltro».
La voce sarà quella di Sting, umbratile, riverberante ora solitudine ora melanconia, ora distacco ora partecipazione. «Gli appassionati di Dowland lo vivono come un personaggio triste, ma lui scriveva anche brani gioiosi, pieni di passione e allegria. Nella sua opera ci sono le emozioni più diverse». Al liuto ci sarà un vero maestro degli strumenti a corda - pupillo di Celibidache - come Edin Karamazov, noto anche per le collaborazioni con Hilliard Ensemble, Andreas Scholl, Berliner. «Questo progetto non avrebbe dovuto diventare un disco - commenta ancora Sting - ma semplicemente un atto damore, volevo capire ed imparare quelle canzoni con laiuto di Edin, ma poi ci siamo trovati coinvolti senza volerlo. Il punto di non ritorno sono state le lettere di Dowland; quando abbiamo deciso di usare i testi delle lettere, allora è nato il cd». Quali lettere? Quelle che il compositore - viaggiatore impenitente - dopo aver frequentato i reali di mezza Europa (Italia compresa) scrisse al segretario di Elisabetta Prima chiedendo il permesso, atteso per diciassette lunghi anni, di rientrare alla corte dInghilterra. Quelle parole hanno colpito al cuore Sting, che senza paura e con un misto di umiltà e arroganza si prepara a sfidare gli strali della critica e dei rockettari incalliti. «Non ho esperienza in questo tipo di repertorio, ma spero di aver portato a queste canzoni quella freschezza che forse un interprete professionista non avrebbe dato». Per ora Sting in versione rock lo vedremo solo dal vivo in giro per il mondo. A fine agosto lo troveremo anche in un altro bellissimo e strano progetto; canterà due brani (Blood Red Roses e Shallow Brown) in Rogues Gallery: Piratess Ballads, Sea Song & Chanteys, il doppio cd - su idea del regista Gore Verbinski e di Johnny Depp durante la lavorazione del film I pirati dei Caraibi - dedicato alle antiche ballate marinare con la complicità di Nick Cave, Bono, Lou Reed, Bryan Ferry, Bill Frisell, Lucinda Williams e molti altri.
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