Milano - Oplà. Se Sting dice che in questo cd «ci sono tanti stati d’animo» è facile credergli. Se poi si ascoltano i quindici brani di If on a winter’s night... tutto è ancora più chiaro: questo è il suo album più complesso, forse quello più maturo, senza dubbio il più fascinoso. «L’inverno è la stagione delle riflessioni» spiega con il suo accento pacato e difatti ha iniziato a registrare questo disco a casa sua, a Figline Valdarno, nel freddissimo febbraio del Chiantishire «con le porte che cigolavano». E che risultato, signori, quello creato da un musicista che per trent’anni ha messo in barrique il suo rock distillandone la voglia di imparare, di crescere e di stupire. Ha adattato Schubert, ha musicato Robert Louis Stevenson, ha restaurato canti tradizionali della sua Newcastle e alla fine non rimane che un oohh. Perciò lui dice: «Ho pensato a fare qualcosa di molto profondo». C’è riuscito.
Però, Sting, molti possono pensare che questo sia semplicemente il disco natalizio di una rockstar.
«Il contrario. Per incidere questo disco io ho preso spunto da ciò che pensavano i nostri avi».
Ossia?
«Nell’inverno c’è il paradosso della luce nel cuore del buio e il successivo miracolo della rinascita e della continuazione delle stagioni. Su questo credo di aver realizzato qualcosa di nuovo».
Sa qual è la sorpresa? Questo disco fa parlare di musica, una rarità ormai.
«Tanto della nostra attenzione, specialmente sui giornali, è ormai rubato dai pettegolezzi, dal gossip».
Forse mai così tanto.
«No, in realtà credo sia sempre stato così. Anche le vite degli imperatori romani, persino dei generali dell’Impero, era continuamente scandagliata e osservata minuziosamente. In ogni caso la libertà di stampa è importante».
Lei però, Sting, non è uno dei più gossipati.
«Credo che molto dipenda dalla mia vita. E comunque mi sento bene, è bello sentire che la gente ti rispetta».
Però c’è ancora quella famosa storia delle sue maratone sessuali, cinque, sette ore grazie al tantra.
«Ma non parlavo di sesso in senso stretto. Ho parlato del tempo in cui si parla di sesso e lo si pensa, magari anche andando al cinema. È tutta un’altra cosa».
I suoi Police si sono detti addio. Il chitarrista Andy Summers è sparito. Il batterista Stewart Copeland ha scritto le musiche del kolossal Ben Hur. Ha visto l’anteprima di Londra?
«Non l’ho vista. Ma lui è così, è sempre stato un po’ pazzo».
Anche lei però artisticamente non scherza. Si è fatto conoscere con «Roxanne» o «Message in a bottle» e adesso ecco questo «If on a winter’s night...». C’è persino un adattamento di Schubert.
«Ho preso la sua Der Leiermann da Winterreise e ci ho lavorato su: è diventata Hurdy Gurdy man. Ho fatto una cosa simile anche con il poema di Stevenson».
«Christmas at sea», Natale al mare. La parte musicale è dolcissima.
«Un poema che ho ascoltato da bambino. Bellissimo. E ho deciso di inserirlo in questo disco soltanto all’ultimo, quando la scaletta era già quasi ultimata».
In due titoli dell’album compare la rosa: «There’s no rose of such virtue» e «Lo how a rose E’er blooming».
«E sa perché?».
Lo dica lei.
«Nel lessico medievale, la rosa era il simbolo della perfezione. Queste due canzoni sono basate su di un verso da Isaia. Lo how a rose E’er blooming è un inno natalizio tedesco del quindicesimo secolo tradotto in inglese un secolo più tardi. E anche There is no rose è dello stesso periodo. Comunque i simbolismi della Cristianità vengono da periodi precedenti».
Ma come farà a tradurre tutto questo su di un palco. Concerti? Tour?
«Seguirò un po’ di promozione e in Italia parteciperò allo show di Fabio Fazio. E poi mi prendo il lusso di fare qualche concerto con la Chicago Symphony Orchestra. Pochi però».
E canterà anche canzoni dei
Police?«Certo».
Sting, lei la settimana scorsa ha compiuto cinquantotto anni.
«E, se devo essere sincero, questo è stato il mio decennio più felice. Sono fortunato e questa è la parte più bella della mia vita».
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