Stoppani, la sinistra scarica gli operai licenziati

Stoppani, la sinistra scarica gli operai licenziati

(...) nonostante le sentenze del tribunale, dalle condizioni di sicurezza in fabbrica peggiorate in barba ai richiami dell’Asl al diritto di parola dei lavoratori cancellato insieme alle rappresentanze sindacali unitarie, dall’istanza di fallimento per la società presentata niente meno che da due operai ai continui ricatti occupazionali da parte della società stessa. Insomma è successo di tutto tranne ciò che doveva accadere, e cioè la bonifica di un sito ad alto rischio ambientale e il disegno di un futuro certo per i lavoratori. L’azienda non ha mai rispettato l’intesa del 2003. La Regione, che nel frattempo è passata nelle mani della giunta di Claudio Burlando, non ha fatto nulla se non concedere infinite proroghe. Nel settembre 2005, per dire, si disse che l’ultima sarebbe durata fino al Natale 2005. Il Natale 2006 è alle porte e la Regione continua a firmare proroghe, certo con la promessa che però questa è l’ultima.
Il prossimo appuntamento è fissato entro dieci giorni. La Conferenza dei servizi dovrà decidere se considerare «superata» l’intesa del 2003, assegnando alla Regione le responsabilità che l’azienda non si è mai assunta. «A quel punto chiederemo l’invio di un commissario, ma anche una compartecipazione economica da parte del governo: la bonifica costa 40 milioni di euro e per questo abbiamo aspettato tanto, speravamo se la accollasse l’azienda» avverte l’assessore all’Ambiente Franco Zunino. Nel mirino degli operai è finito proprio lui. «Il suo predecessore, Franco Orsi, era di Forza Italia ma nemmeno si sedeva al tavolo delle trattative in presenza di un ricatto occupazionale. Lui è di Rifondazione comunista e solo a parole si è impegnato per fornirci garanzie. A ogni riunione con azienda e sindacati Biasotti voleva incontrare anche gli operai. Burlando alla prima riunione ha chiamato la Digos perché avevamo chiesto di partecipare» lamentano Adriano Castrini e Nicola Seminatore. E sì che mica sono mai stati di destra, loro. Erano iscritti alla Cgil, ma per avere più forza decisero di restituire la tessera e di fondare il sindacato di base iscrivendosi alla Cub: «Diventammo il secondo sindacato fra i dipendenti, il primo fra quelli in età di ricollocazione». Fece molto rumore, la Rsu, per due volte ottenne il blocco della mobilità accettata invece dai sindacati, a giornali e tv denunciò le condizioni di chi lavorava in un ambiente fatisciente e pericoloso, e insomma divenne scomoda: fu la stessa Cgil a esautorarla conferendo ogni potere di trattativa alla Rsa, nominata dal sindacato, mica dagli operai, e prese a tenere le riunioni nell’ufficio dell’amministratore unico di Stoppani e solo con gli iscritti. Semeraro racconta storie incredibili: «Gli impegni di bonifica e messa in sicurezza contratti dall’azienda vedevano impiegati unicamente noi, esubero mal tollerato, personale non solo privo di competenze, ma di ogni mezzo come guanti, tute, scarpe, maschere, e soprattutto soggetto a una retribuzione che ormai da tempo aveva assunto i connotati di chimera». Il primo a credergli è stato il tribunale del lavoro. Semeraro e Castrini erano stati licenziati dopo lunghi scontri con l’azienda, un giorno che avevano insultato il dirigente tecnico Giuseppe Bruzzone che li aveva ripresi per aver chiesto ferie se pure da mesi non svolgessero attività. Significativa la sentenza di Castrini, che condanna un’intera pluriennale gestione della fabbrica. Scrive il giudice che il licenziamento è illegittimo, perché la reazione del lavoratore è «giustificata dalla situazione lavorativa», definita «gravissima», e dalla «non corretta provocazione del superiore che lo ha ritenuto responsabile della sua inoperosità», là dove invece causa dell’«inerzia» non era Castrini, ma il «datore di lavoro» che non gli assegnava mansioni. Sono passati quattro mesi, ma i due operai non sono ancora stati reintegrati. Dice Zunino che «non alla Regione, ma al Tribinale spetta il reintegro, noi dobbiamo occuparci degli altri 27 lavoratori».

Dopo tre anni di buste paga in ritardo e infinite proroghe a una messa in sicurezza «urgente» dal 2003, gli operai si domandano se davvero la Regione non possa pretendere che l’azienda rientri nella legalità. Anche in nome degli altri 27.

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