Politica

Storace indagato: «C’è la regia di un politico»

«I pm mi dicano se posso fare ancora comizi senza essere ritenuto un latitante»

Anna Maria Greco

da Roma

Francesco Storace è l’indagato numero 7 dell’inchiesta «Laziogate». All’ex presidente della Regione la Procura di Roma contesterebbe, per il presunto spionaggio politico ai danni di Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini, gli stessi reati degli altri: concorso in violazione della legge elettorale e nell’accesso abusivo ad un sistema informatico. Questo, secondo le indiscrezioni. Storace è furioso anche per come ha appreso la notizia. E lancia accuse pesanti, dicendo che sospetta una «manovra dei servizi» e che dietro ci sia un esponente politico: «Ho un pensiero fisso da qualche tempo - dice - anche se non ho elementi. Sono successe troppe cose strane e mi chiedo chi abbia architettato tutto questo. Di sicuro c'è un esponente politico dietro tutta questa vicenda». Storace precisa che si tratta solo di una sua idea personale: «Non so se lui sia il vero manovratore, non so neanche se andrò dal magistrato. Ho da fare una campagna elettorale, se vogliono i magistrati mi venissero a cercare».
Lei non ha avuto alcuna comunicazione ufficiale?
«Niente di niente. L’ho saputo dalle agenzie di stampa, come Niccolò Accame (il suo portavoce, ndr) e altri indagati. Nessuno mi ha chiamato, né mi ha interrogato o comunicato niente. Eppure, i magistrati avevano il dovere morale di sentire che avevo da dire, tanto più dopo il gesto che ho compiuto per non ostacolare le indagini, dimettendomi da ministro della Salute. Tutto ciò è intollerabile, sconcertante».
Non si aspettava questo sviluppo dell’inchiesta?
«Assolutamente no. Non ho fatto nulla di male. Ho voluto avere fiducia nella magistratura, ma dall’altra parte ci vuole correttezza. Almeno, nel farmi recapitare a casa un avviso di garanzia. Così, invece, si calpesta la dignità di una persona. Non mi colpisce solo il provvedimento, ma anche le modalità. Perché nella giustizia, la forma è sostanza».
Non se l’aspettava, perché il detective Pierpaolo Pasqua ha dichiarato di aver agito di sua iniziativa e non per incarico suo o del suo staff?
«Lo ha detto quando è stato interrogato in carcere il 10 marzo, ma non se n’è saputo nulla e il giorno dopo mi sono dimesso. Solo il 22 sono stati diffusi alla stampa i verbali che mi scagionavano sin da allora. Per 12 giorni non è trapelato niente, mentre su di me si abbattevano valanghe di merda. Ma quando è venuto fuori quel che aveva detto, ho immaginato che fosse un modo per far sapere a me e agli altri che nella faccenda non entravo affatto. Le indiscrezioni non le ho messe certo in giro io! Adesso, invece, la batosta. È stata una doccia scozzese. Come se avessero detto: ti facciamo respirare e poi arrivano le bastonate».
Ma quando hanno indagato Accame e altre persone vicino a lei non ha pensato che il cerchio si stringeva?
«Credevo, invece, che tutto si stesse chiarendo. Io conoscevo Pasqua, l’ho detto per primo, ma non sapevo proprio che faceva quelle cose. E potevo pensare di essere messo in mezzo solo per una manovra politica. In un anno nessuno ha sentito il bisogno di ascoltare me né i miei collaboratori e adesso, a 10 giorni dal voto, arriva la notizia».
Vuol dire che c’è una strana concomitanza con le prossime elezioni?
«Mi ci ha fatto pensare Bobo Craxi, parlando di “pessimo esempio di un uso politico della giustizia”. Ci sono troppe cose strane. Mi viene in mente una storia di spionaggio industriale. E sospetto una manovra dei servizi, ma penso anche che qualcuno ha architettato la vicenda. Certamente, dietro a tutto questo c’è un esponente politico».
Forse gli inquirenti romani e milanesi non hanno creduto a Pasqua.
«C’è gente che ce l’ha con me. Di questa storia parlerò al processo e sarò io a porre agli altri qualche domanda».
Sono i magistrati che ce l’hanno con lei?
«Più evidente di così non può essere».
Si aspetta di essere interrogato presto?
«Sarà il mio avvocato Bruno Giosuè Naso, adesso, ad occuparsi di tutto. Che mi facciano almeno sapere se posso continuare a fare comizi in giro per Roma, il Lazio e l'Italia o se li scambieranno per un tentativo di latitanza.

Io ho una campagna elettorale da fare, faccio comizi a piede libero».

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