Storace sfida Fini celebrando i 60 anni del Msi

Angelo Mellone

da Roma

Mentre Gianfranco Fini riunisce oggi all’Ergife l’Assemblea nazionale di An per discutere del progetto della Fed di centrodestra e della riforma dello Statuto del partito, Francesco Storace ha radunato ieri pomeriggio al Parco dei principi di Roma la sua associazione «D-Destra» per celebrare il sessantesimo anniversario della nascita del Msi, «il contributo della destra politica alla democrazia italiana». Gli organizzatori non hanno voluto attribuire un significato politico all’evento, «non l’ha fatto ufficialmente il partito, l’abbiamo dovuto fare noi», però è sembrata a tutti la riunione di chi s’è già infilato i panni della minoranza ufficiale (sarà un caso, ma la riforma statutaria in discussione prevede più garanzie per le minoranze).
In una sala gremitissima Storace ha riunito un po’ di anime inquiete della destra, dai vecchi missini doc alla nobiltà nera di Lillo Ruspoli, da qualche ex movimentista «oltre la destra e la sinistra» al capo storico dei Volontari nazionali, Alberto Rossi. Gente che nei congressi del vecchio Msi si sarebbe guardata in cagnesco e invece si ritrovano, inchiodati alla memoria dell’identità, ad ascoltare la più inquieta di tutti, l’onnipresente donna Assunta, che non la manda a dire: «Se non c’era Almirante chi vi mandava al governo?». Qualcuno si guarda intorno. Guglielmo Rositani, che ha distribuito copie del primo appello agli italiani del Msi affisso sui muri il 29 dicembre 1946, urla che «i nostri valori bisogna venerarli». Lo storico Giano Accame, generazione «quelli che hanno pianto l’8 settembre», grida che «abbiamo dovuto batterci tutta la vita contro le discriminazioni per una battaglia di libertà» e viene sommerso dalle ovazioni. Adalberto Baldoni spiega perché il postfascismo è finito con Almirante e Romualdi, e molti non sembrano gradire.
Arrivano Pasquale Squitieri, Edoardo Vianello e Nico Fidenco, qualcuno vorrebbe dedicare alla fiamma missina i versi della sua Legata a un granello di sabbia: «Ti voglio tenere, tenere / legata con un raggio di sole, di sole / così col tuo calore la nebbia svanirà». Arriva Gustavo Selva, il postdemocristiano applauditissimo perché, dirà Storace, vuole presentare una proposta di legge per abrogare la XII disposizione transitoria della Costituzione. Pino Rauti, altra guest star, rende omaggio all’ex nemico Almirante, «fu un gigante», e ricorda le battaglie missine per Roma Capitale «che oggi la sinistra s’è scordate». Veltroni non gradirà molto.
Poi è il turno di Storace che invoca con una citazione alla Tolkien «non la nostalgia ma il rispetto delle radici che non gelano mai». E per il Msi usa polemicamente la formula della «casa del padre» utilizzata da Gianfranco Fini nel 1995 a Fiuggi. Tre anni fa lo accusò di volerla «bombardare», questa volta esclama più dolcemente: «Un fiore sulla casa del padre sarebbe bastato».

Oggi gli storaciani distribuiranno un documento in cui, accanto alle consuete rivendicazioni valoriali, «per non disperderci nel Ppe» si lancia An come avanguardia di «un’eurodestra democratica». Togli destra e metti sinistra, Storace assomiglia sempre di più al Fabio Mussi di An.

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