Cultura e Spettacoli

La storia all'ombra del re Sole

Max Gallo narra in un magistrale romanzo l'avventura del carismatico monarca alle prese con diabolici intrighi di corte e una nazione da risollevare. L'uomo che regnò su un Paese tutt'altro che pacificato, circondato da ambizioni e invidie, seppe sgominare i nemici

La storia all'ombra del re Sole

Cade decisamente a proposito la pubblicazione, presso Mondadori, del volume di Max Gallo, Il Re Sole. A rompere la noia - e la banalità, per lo più - della chiacchiera ferragostana s’era affacciata una nuova provocazione intorno all’eterno dibattito su come si debba fare e scrivere la storia in una società di massa: se rigorosamente, sempre e solo, sulla base e sotto traccia di una rigorosa documentazione, o se affidandosi all’abbrivio, all’inventiva e - perché no - alla fantasia del romanziere.

Apparentemente è una questione trita e ritrita, e un po’ anche vieta. In realtà rappresenta una sfida culturale del massimo rilievo civile, oltre che di grande spessore scientifico. Solleva, infatti, un dilemma centrale della riflessione storiografica cui i cultori della materia non possono sfuggire. Ma tocca anche un nervo scoperto del costume civile e della democrazia «materiale» del nostro Paese: bulimico di passione politica, anoressico di riflessioni e di letture critico-formative. Un nervo scoperto che è anche - e, forse, soprattutto - dell’establishment culturale, segnatamente dell’accademia: perennemente pensosa delle magnifiche sorti e progressive della nostra stentata democrazia, ma anche incorreggibilmente elitaria, al fondo disinteressata a fornire una letteratura popolare, capace cioè di raggiungere e interessare il largo pubblico.

Il dilemma, per restare al campo storico che qui ci preme trattare, è unire una ricerca rigorosa sull’argomento scelto e una resa narrativa efficace, così come si conviene appunto al pubblico di una società di massa. Da un lato, rendere palpitanti le vicende umane dei singoli e dei popoli, dall’altro illustrare - ma senza la spocchia e l’oscurità di linguaggio proprie dell’erudito e dello specialista - le grandi trasformazioni e processi sottesi al tumultuoso - e per lo più difficilmente sondabile - percorso della storia, senza la cui comprensione il passato risulta un farraginoso susseguirsi di avvenimenti privi di senso.

La sfida da noi è ancora tutta da vincere. Per quanti sforzi abbiano consumato (e per quanti successi editoriali abbiano ottenuto) i vari Montanelli, Bocca e Pansa, per limitarci ai più noti, il libro di storia è rimasto un saggio riflessivo, denso magari di acute e informate riflessioni, ma per lo più indigesto al lettore comune. Col risultato che si sono formati due mercati: quello degli specialisti, sempre più affollato di pubblicazioni, spesso adatte solo a infoltire i curricula universitari, e quello del largo pubblico, lasciato sdegnosamente in pasto al giornalista (come spregiativamente gli accademici amano chiamare quanti osano scrivere di storia senza appartenere alla corporazione) o, ultimamente, al regista televisivo autore di fiction in cui la storia fa da ambientazione e talora semplicemente da pretesto.
Tutt’altra storia - è il caso di dire - all’estero, specie nelle democrazie mature. È tradizione degli editori, e di conseguenza degli autori, anglosassoni seguire (e non cercare di imporre con supponenza pedagogica) i gusti dei lettori. È vanto della Francia avere un folto numero di storici che, sulla scia prevalentemente della scuola delle Annales, ha imparato a entrare tra le pieghe del passato, a penetrare la crosta torrenziale dell’événementiel per cogliere l’apparentemente insondabile vita quotidiana degli uomini.

Max Gallo ha un pedigree inappuntabile per poter affrontare e vincere una sfida di questo genere. Docente universitario, insigne storico, è dotato anche della penna agile del romanziere, oltre che del consumato giornalista. Ha le carte in regola, quindi, per permettersi di riuscire nell’impresa, per unire un racconto agile e appassionato a un impianto che non perda mai di vista il senso più generale del vissuto degli uomini.

La figura di Luigi XIV, bisogna riconoscere, si presta come poche all’intento. In privato, per tutta la vita al centro di tumultuose relazioni sentimentali con donne di grande fascino, oltre che di ancor più grande rango; protagonista da uomo di stato di un’impresa - la creazione di una moderna monarchia assoluta - destinata non solo a segnare il corso della storia francese tanto da divenirne un mito tuttora attuale, ma anche a proporsi a tutta l’Europa come archetipo dello stato nazionale unitario, creatore di un’efficiente macchina burocratica e insieme weberianamente titolare del monopolio della violenza: con simili prerogative il Re Sole è il personaggio ideale da biografare.

La sua vita è di per se stessa un romanzo, dall’inizio alla fine. In seguito alla morte del padre, è chiamato a reggere l’impegnativo ruolo di monarca di uno Stato tutt’altro che pacificato e ancor meno stabilizzato, quando è niente più che un infante. Si ritrova poi a muovere i primi passi da re tra mille difficoltà. La prima e più grave è che si deve muovere stretto, su un lato, dall’ingombrante figura della madre, la potente Anna d’Austria, sull’altro dall’abile quanto avido e ambizioso cardinal Mazzarino, investito dalla regina madre stessa della carica di sovrintendente del re: un uomo «dalla voce dolce e dallo sguardo velato» ma pur tuttavia - e forse, proprio perché al riparo di queste apparenze - capace di ogni scaltrezza e di ogni macchinazione, tanto da sembrare la personificazione stessa del potere.

Non ha ancora raccolto dal padre la pesante responsabilità, e deve già fare i conti con i maneggi della corte, con le ambizioni dei parenti, con lo stato di prostrazione del Paese: la «gente muore di fame» e anche nella capitale i briganti saccheggiano, depredano, saccheggiano. Prestissimo deve fronteggiare le rivalità e le perfidie degli stessi parenti, dello zio Gastone d’Orléans come del principe di Condé o del duca di Enghien. Infine, deve sgominare la Fronda: una congiura dei nobili che attentano alla sua stessa persona. Teme Mazzarino ma non può fare a meno della sua esperienza e sapienza. Impara subito, sul campo, l’arte del governare: un’arte fatta di astuzia, prudenza, di «forza e abilità». Impara anzitutto che «il primo dovere di un re \ è mantenere l’ordine».

Come ogni bambino, è spesso sopraffatto dalle emozioni, eppur non vi si può abbandonare. Conosce la perfidia degli uomini, ma «non deve lasciar trapelare il disprezzo che prova» nei loro confronti. «Ama leggere nello sguardo delle donne l’ammirazione e il desiderio di piacergli». Le giovani «cadono in deliquio tra le sue braccia». Ha il privilegio di poter «passare da un corpo all’altro». Ma «non tutto è Plaisir et Délices». Alla fine, lui che tutto può, non può scegliere la donna con cui vorrebbe passare la vita. Il potere ha i suoi pesanti obblighi: se la Francia vuole la pace con la Spagna il suo re deve prendersi in sposa l’infante Maria Teresa, pur se deforme.
La verità è che chi regna è sempre solo, come lo sarà anche il Re Sole sul letto di morte.

A consolarlo, dopo i tanti piaceri e onori goduti in vita, la consapevolezza di aver compiuto «una missione» a favore del proprio Paese dotandolo di uno Stato moderno, autorevole all’interno e rispettato all’estero.

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