Storia di Cristiano Enrico Heinecken, il neonato parlante

Tutti, a casa Heinecken, ricordarono a lungo l’alba del 6 febbraio 1721. Nella famiglia di Lubecca stava per nascere un nuovo rampollo, il sesto. E se papà Paul era in trepidante attesa, donna Catharina serbava più di una preoccupazione. Appassionata della ricerca alchemica - tanto da investire i suoi beni nella costruzione della «Casa della chimica» dove svolgeva i suoi esperimenti - temeva che qualcuno volesse punirla per le sue stravaganze. Negli ultimi mesi di gravidanza percepiva infatti «un solo, particolare, segno di vita, che la inquietava un poco»: in corrispondenza dell’ombelico, Catharina scorgeva la forma di un piccolo orecchio.
Comincia così la meravigliosa storia di Cristiano Enrico Heinecken, il bimbo prodigio nato già in grado di parlare. «Scusatemi, madre mia, per il dolore che vi ho arrecato. Saprò farmi perdonare»: questo disse a una Catharina stremata dalle fatiche del parto sotto gli occhi atterriti della levatrice e della balia Sofia. Era nato un monstrum diabolicum? No, un wunderkind, un bambino prodigio.
Ci crediate o meno la storia è vera e solo la pazienza di Guido Guerzoni, docente di Storia economica ed Economia dei beni culturali alla Bocconi di Milano poteva ricomporla a così grande distanza in un elegante volume (Il bambino prodigio di Lubecca, Allemandi, pagg. 251, euro 15). Con una vasta bibliografia che spazia da dotti trattati in latino alle cronache settecentesche tedesche e danesi, vi si narra la brevissima vita di Cristiano Enrico Heinecken che a un anno conosceva le sacre scritture, a due parlava il latino, a tre si intendeva di francese ed era in grado di interpretare gli atlanti, narrando gli eventi storici più significativi. Morirà, a quattro anni, quattro mesi, ventuno giorni e pochi minuti, il 27 giugno 1725, alle due e mezzo del mattino: le cronache sono precise e Guerzoni, con un periodare che profuma di barocco, ne riporta in vita ogni dettaglio.
Cristiano Enrico non fece in tempo a camminare o a mangiare a tavola (oltre che di letture, si nutriva solo dai seni di Sofia): il suo fu un prodigio tutto intellettuale. Il principe di Danimarca in persona volle ricevere il fanciullo e i più importanti pedagogisti salutarono il pargoletto con viva esaltazione. Ogni bambino prodigio che si rispetti ha un precettore di cui è pupillo: per Cristiano Enrico fu Christian Von Schöneich. Il motto del pedagogo, convinto che l’umanità sarebbe stata salvata da qualche straordinario allievo dopo un «allattamento enciclopedico», era: «tutto deve essere insegnato a tutti». Con Cristiano Enrico tralasciò l’abicì: il pargolo che nacque già parlante a poche settimane distingueva il cane dal gatto (ed elencava le differenti specie di entrambi) e da lì in avanti imparò duecento nuovi lemmi ogni giorno in quattro lingue.
Cristiano Enrico, che era cagionevole e passava le giornate tra il letto, lo scrittoio e le braccia di Sofia, ebbe fin dalla nascita una severa espressione: né un riso, né una lacrima. Un tale wunderkind - narra Guerzoni - non poté essere taciuto a lungo: il piccolo fu così portato dinanzi a una giuria di saggi per stabilire il livello della sua sapienza (c’era chi pensava fosse un nano con sembianze di bimbo) e ricevette elogi e doni da tutti gli europei in vista dell’epoca.

Primo episodio di una trilogia di vite esemplari che l’autore ha in animo di redigere, la storia del bambino di Lubecca si regge su fatti che «a dispetto della mirabolante straordinarietà sono realmente accaduti». Eppure Cristiano Enrico suscita in chi legge più tenerezza che meraviglia.

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