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La storia dei moralisti con la coscienza sporca parte da molto lontano

Gentile Granzotto. Ricordo un fatto del passato poco edificante e che ebbe come protagonista l’avvocato Sotgiu di chiara fede comunista. Sarebbe interessante riproporre la lettura della stampa di sinistra del tempo per confrontarla con quella in armi di oggigiorno. Con sincera stima.
Dolo (Ve)

Lei, caro Nalon, ci ricorda una figura eminente, il compagno Giuseppe Sotgiu, avvocato, giornalista, politico, presidente della Provincia di Roma in quota Pci, bardo di una delle prime campagne di stampa della sinistra in nome della «questione morale». Certo della prima in assoluto rivolta alla morale privata, alla castigatezza dei costumi, al peccato di quella che è la gioia di vivere, oggi cavallo di battaglia del giornalismo tartufesco e manettaro. La figura di Sotgiu è strettamente legata allo scandalo Montesi (Wilma Montesi, ventunenne escort antemarcia, trovata morta sulla spiaggia di Capocotta, non lontano da Roma) che divampò nei primi anni Cinquanta. Risultando coinvolto nell’inchiesta (parentesi: alla fine della furibonda vicenda giudiziaria, tutti gli imputati furono assolti. Uno solo, marginale, condannato a 10 mesi, ma con pena sospesa) Piero Piccioni, figlio del vice segretario della Dc, la sinistra trovò di che inzuppare il pane nella corruzione morale, negli eccessi sessuali (sulle mutandine di Wilma Montesi si scrissero almeno un migliaio di pagine di giornale), nella sordida e oziosa vita della classe politica al potere. Dalle colonne dell’Unità lo stesso Togliatti invocò la «lotta contro l’omertà e la corruzione così che il regime clericale possa giungere al crollo». Ma a strillare di più era Giuseppe Sotgiu. Il delitto in sé non interessava a quel campione delle virtù morali: egli puntava il dito accusatore - sui quotidiani e nell’aula del Tribunale - sul contorno, sui «festini» - ovviamente «equivoci» - che si svolgevano nella tenuta di Capocotta. Coniò perfino un termine, «capocottari», col quale indicare i debosciati che con le loro ribalderie offendevano «la gente che lavora» e le istituzioni che direttamente o indirettamente rappresentavano.
Poi, mentre Sotgiu stava portando al calor bianco il tono delle sue intemerate contro il vizio della classe borghese e governativa, accadde questo. Indagando sulla morte di Pupa Montorsi, escort in servizio in una casa d’appuntamento della capitale, la Questura appurò che fra i clienti abituali del bordello figurava anche tal Sotgiu Giuseppe, nato a Olbia, domiciliato a Roma in via eccetera eccetera. Lui, il fustigatore dei «capocottari». Fosse stato solo quello. Le indagini appurarono che Sotgiu frequentava sì il clandestino lupanare, ma per accompagnarvi la moglie che ivi si concedeva (anche a minorenni!) al cospetto del marito guardone. Per la sinistra e la stampa «democratica» fu una mazzata tra capo e collo. Resa ancor più dolorosa dalle ammissioni di uno degli sparring partner della signora Sotgiu, che confessò di essersi più volte speso nel letto perché il guardone gli aveva promesso, lui che poteva, un buon lavoro.

I coniugi Sotgiu furono denunciati per istigazione alla prostituzione e favoreggiamento, ma essendo, com’è ben noto, la magistratura democratica, furono prosciolti addirittura in fase istruttoria. Anche così, il Savonarola del Pci dovette lasciare il pulpito e la «questione morale» fu rimandata a data da destinarsi.
Paolo Granzotto

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