«La storia dei vicoli è in una salumeria»

Il turista che la domenica si avviasse a visitare la stupenda basilica di Santa Maria di Castello, ne vedrebbe uscire, verso le undici, e scendere verso Piazza Embriaci, un signore anziano alto e magro, con la cravatta a farfalla.
Cammina lentamente con il Corriere della Sera sotto il braccio e Il Sole 24 ore aperto davanti agli occhiali sulla punta del naso. Saluta educatamente, senza condiscendenza, col tipico riserbo del genovese bene.
Ultimerà la lettura al tavolino del Bar Doge, se il tempo è buono, altrmenti al Caffè Ducale.
Se il nostro turista fosse ligure od un genovese (caso piuttosto strano quest’ultimo, dato che i genovesi raramente sono inclini ad entrare nel Centro Storico, neppure per visitare quegli splendori che altrove meriterebbero un viaggio) ne trarrebbe la rassicurante sensazione di solidità che sempre evoca un distinto signore immerso nella lettura di un giornale economico.
Se il turista fosse invece un foresto, si rafforzerebbe nelle diffusa opinione che Genova è ancora una città di gente seria e benestante.
Sia il ligure che il foresto avrebbe a trarre conforto dalla visita di questo signore un pò severo, ma solo un improbabile genovese - e dovrebbe trattarsi di un genovese Doc - eviterebbe di trarre conclusioni affrettate (cosa peraltro difficile per un nativo della Superba). Perchè l’elegante signore dall’aspetto così in potrebbe, mani man, essere diverso da quel che appare, potrebbe celare una natura imprevedibile, addirittura impensabile.
Per questo, solo un genovese Doc, e quindi di per se stesso raffinato conoscitore di armadi e relatvi scheletri, non si lascerebbe ingannare da un aspetto tanto tradizionale.
Ed in effetti, l’anziano lettore del Sole 24 ore che la domenica scende lungo Santa Maria di Castello è Luigi, salumiere nella scalcinata e malconcia via San Bernardo.
Ma non è un salumiere qualsiasi, come la sua non è una qualunque salumeria.
Intanto è quasi una rosticceria, con insalata russa, acciughe al limone, roast-beaf al sangue, torte di bietole, cipolle e zucchine che lo stesso Luigi prepara con diligenza e amore.
E poi per Luigi la salumeria è una missione, un palcoscenico che lui apre al pubblico con devozione ogni mattina, e pazienza se non tutto il pubblico lo capisce.
C’è il maghrebino che vuole un litro di latte a lunga conservazione, la vecchietta che s’appaga con un etto e mezzo di stracchino, il nigeriano gigantesco che chiede il prezzo delle merendine e compra la più piccola, il pensionato che alterna alla fetta di torta di bietole un etto di mortadella. Col cileno va già meglio (dipende dai proventi della giornata sugli autobus) perchè è capace di chiedere mezzo chilo di provolone e sei bottiglie di birra o tre etti di gorgonzola e due cartoni di vino.
Ma, vivaddio, c’è anche il professionista che vuole quattro etti di S. Daniele tagliato sottile e poi si consulta con Luigi per il vino. Già, il vino.
Ce n’è di tutti i tipi, marche e regioni; dai vini del Salento a quelli di Montepulciano agli altoatesini (Luigi fa sempre le vacabnze in Trentino) e non mancano i Gavi e i Vermentini o i Verdicchi di Matelica e di Jesi. E lui non li decanta, te li spiega con fervore e passione. E lì vien fuori una delle anime del salumiere Luigi.
Che, mentre depone elegantemente due olive verdi nel pacchetto del prosciutto - ma lo fa anche per la mortadella - si infervora sul colesterolo, che non ha mai fatto male a nessuno e adesso invece guai a mangiar di grasso, ma la gente deve capire che sono tutte mode, che lui magro com’è ha sempre mangiato salame e bevuto vino di quello buono e che, alla sua età, lavora dodici ore al giorno e, quando può, scarpina per tre ore in campagna.
Magari se gli chiedi due etti di parmigiano, lui te ne pesa mezzo chilo e chiede preoccupato: «lasciamo così?». Ma tant’è, il suo è veramente un buon parmigiano e finisce che ci ritorni, da Luigi.
E poi Luigi, quando gli prendono le futte, mica scherza, è stato visto ringhiare di brutto sul muso di un tunisino che faceva il bullo e lo ha cacciato via raccontandogli i morti in genovese verace. Come la volta della prostituta marocchina, quella bella mora biondissima, passione degli arzilli pensionati che lei incanta in Vico degli Stoppieri.
Una mattina ha sconfinato e s’è piazzata all’angolo del teatrino di Luigi, la salumeria, e Luigi ha dato mano alla scopa e s’è messo a pulire davanti al negozio e tutto intorno fino ai piedi della peripatetica maghrebina. Quella s’è spostata con un grande sorriso e Luigi, sorridento anche lui, ma in genovese, l’ha seguita sempre scopando per terra indaffaratissimo.
Dopo un balletto di un paio di minuti la nordafricana ha capito l’antifona ed è rientrata nella sua riserva.
Nei vari giri che politici o intelletuali fanno di tanto in tanto nei vicoli, è raro che saltino Luigi. Non foss’altro per imparare un pò di storia spicciola sui palazzi, sulle famiglie, sui destini indefiniti di tanti personaggi che sono vissuti in Castello e dintorni. Luigi, in quei dibattiti - che tali divengono dopo un pò - sembra avere tre secoli e il dono ubiquo di aver tutto visto, udito, giudicato.
Anche gli Agenti Immobiliari vanno da lui per consigli; di un certo Palazzo di Via S. Bernardo disse una volta: «É questione di geni. Quello è un palazzo che doveva fare il casino. Ai tempi dei nobili era un enorme pied-a-terre, poi divenne una casa chiusa, poi un hotel per donnine dalla pelle scura.
Ma è solo questione di geni; è un palazzo nato così, con quei geni e non c’è niente da fare». Il mattino successivo a una delle tante elezioni, commentando con i clienti l’ultimo dibattito televisivo disse che non avrebbe mai cambiato il suo vecchio televisore in bianco e nero. «A me va bene quello che ho».
Forse è questa la vera forza: l’aggrapparsi al passato con spontaneità ferina, viverlo come uno spazio temporale fermo, non ancora trascorso. Quello strano salumiere di Via San Bernardo che vive nel presente coi piedi pragmaticamente per terra, non ha ceduto un’oncia del suo orgoglio per quello che era (il suo negozio che era Via San Bernardo che era il Centro Storico genovese) e vive il suo presente attingendo forza e convinzione nel suo passato.
Luigi non è un sociologo, non è uno storico, non è un romantico cantore dei fasti dell’antica Repubblica.


Non è un politico e non bazzica neppure i comitati. É solo un, anzi il salumiere di Via San Bernardo.
Ma forse proprio a uomini come lui Genova dovrebbe rivolgersi se davvero volesse riprendere il cammino interrotto mezzo secolo fa.

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