Roma

La storia dell’aristocrazia in una tavolozza

I nobili capitolini del XVII secolo nei ritratti del fiammingo Ferdinand Voet

La storia dell’aristocrazia in una tavolozza

Laura Gigliotti

Era il Boldini del ’600 il fiammingo Ferdinand Voet (1639-1689), il ritrattista alla moda della Roma tardo-barocca. Un pittore galante conteso dalle famiglie nobili romane e dai «milordi» che dal Bel paese volevano portare in patria un ritratto-souvenir, magari in veste da camera, a differenza di Maratta che li vestiva da senatori romani e di Baciccio che trasformava le principesse in matrone. Amato dai Savoia e dalla nobiltà sabauda quando nel 1682 si stabilì in Piemonte e infine dagli aristocratici della corte di Luigi XV a Parigi dove trascorse l’ultima parte della sua vita.
A lanciarlo fu la «Galleria delle belle», una raccolta di ritratti delle più belle dame romane voluta dai Chigi nel 1672 e poi ripresa da altre potenti famiglie nobili come i Colonna, i Savoia, i Massimo. Nel palazzo Chigi di Ariccia in origine c’erano 37 ritratti, tutti di Voet, ma negli anni ’80, prima che il palazzo venisse acquistato dal Comune, un furto decimò la raccolta. Alcuni di essi sono esposti, assieme a opere provenienti da collezioni private e pubbliche, nella mostra Ferdinand Voet, ritrattista di Corte fra Roma e l'Europa del ’600, aperta a Castel Sant’Angelo dal ’26 novembre al ’26 dicembre. È molto rappresentato in collezioni private, ma poco nei musei pubblici, anche perché è stato riscoperto solo in anni recenti. La rassegna, costituita da una quarantina di ritratti, è curata da Francesco Petrucci, conservatore del Palazzo Chigi di Ariccia.
Il primo committente accertato di Voet fu Wilhelm von Furstenberg, nel 1669 l’incontro fatale con la regina Cristina di Svezia, la «Pallade del Nord» che rinuncia al trono, abbraccia il cattolicesimo e fa della sua residenza romana a Palazzo Riario, un centro di cultura e d’arte. Le sue collezioni passate agli Odescalchi saranno vendute al duca di Orléans (i dipinti), e al re di Spagna (le sculture). A Voet Cristina affida la pubblicazione in repliche e varianti della sua immagine. Come quella che la ritrae assisa sul trono con il manto bordato di ermellino e in mano il globo simbolo della regalità.
Vedendo i ritratti di principi, marchesi, cardinali, abati, gentiluomini con colbacchi e turbanti orientaleggianti, di donne dagli attillati e audaci corsetti, con mazzetti di fiori sull’acconciatura, o in abiti vedovili, o in abiti da novizia, come Flavia Virginia Chigi, si ripercorre la storia dell’aristocrazia del XVII secolo, gli intrighi, i matrimoni perché il nome non si estingua.
È in piedi di tre quarti presso una colonna Lorenzo Onofrio Colonna, Connestabile del Regno di Napoli. E fra le donne figurano Olimpia Aldobrandini-Pamphilj, rappresentata in abito nero, privo di gioielli, forse a «mezzo lutto»per la morte del secondo marito, il principe Camillo Pamphilj, l’ex cardinale nipote di Innocenzo X che sposò dopo pochi mesi dalla morte del primo marito, il principe Paolo Borghese, nipote di Paolo V.

Maria Camilla Pallavicini Rospigliosi è raffigurata con un deshabillé rosa che si apre su un’ampia scollatura e «Ortensia Mancini come Cleopatra»vera ispiratrice del cabinet des dames di Voet.

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