La "Storia d'Italia" di Bruno Vespa

La mia 'Storia' è come un sassolino da spiaggia, di quelli che si raccolgono e poi si conservano perché ci si affeziona. Vorrei che diventasse un'opera per famiglie". "De Gasperi era un genio assoluto, dalla schiena dritta. A sinistra ammiravo molto Gramsci"

La "Storia d'Italia" di Bruno Vespa

Quando arriva puntualissimo all’appuntamento che mi ha dato nel suo studio di Porta a Porta, Bruno Vespa ha l’aspetto quintessenziale del giornalista di successo (da domani il primo libro della Storia d'Italia con "il Giornale"). Tiene un cellulare all’orecchio e parla animatamente, consulta contemporaneamente un’agenda, pigia i tasti di un secondo cellulare, saluta il primo interlocutore, comincia a parlare con l’altro, mi dà la destra in segno di saluto, bisbiglia: «Lieto di incontrarti», mi fa cenno con la sinistra di avere pazienza e torcendo agilmente il collo mi fa segno con la testa di seguirlo. Sale a passo di bersagliere cinque rampe di scale, fa e riceve durante l’inerpicamento un’altra decina di telefonate, entriamo nel suo studio, fa un largo gesto spagnolesco e mi indica la poltrona. Intanto, continua a parlare alternativamente con l’uno e l’altro cellulare, andando su e giù per la stanza.

Vespa mi ha riservato - si fa per dire - un’ora di tempo per parlare della sua ultima, mostruosa, fatica. Una storia d’Italia degli ultimi settant’anni in otto volumi, dall’inizio della Seconda guerra mondiale a oggi. In più, ha commentato - con spiegazioni e didascalie - altri sei tomi di fotografie sullo stesso periodo. Tutta roba scritta di suo pugno. Quattordici malloppi - quasi una biblioteca - che saranno distribuiti nelle edicole, a partire dai prossimi giorni e per tre mesi, con il Giornale, Panorama e Sorrisi e Canzoni.

Da una decina d’anni, oltre a imperversare in tv, Bruno ci aveva abituato a un suo libro ogni dodici mesi di indiscrezioni politiche e interviste sull’anno trascorso o immediati dintorni. Solo nel 2004 ne ha scritto uno a più largo raggio, ricostruendo avvenimenti «da Mussolini a Berlusconi». Ci ha preso gusto e con Mondadori, il suo editore, è nata così l’idea di una storia a tutto tondo. Un volume per ogni decennio, dagli anni Quaranta ai Novanta, e ben due per i sette anni del nuovo secolo. Trecento pagine per libro. Duecento di racconto, scritte da Vespa, qualche brano antologico di altri autori su singoli fatti, una cronologia del decennio, la bibliografia, un indice dei nomi.

Il pazzo, perché solo un pazzo poteva imbarcarsi nell’avventura, è fresco come un fiore mentre passeggia per la stanza con i due cellulari all’orecchio. Deve certamente la particolare elasticità con cui cammina a un paio di eleganti mocassini da capo indiano, con suole sottili e un rialzo in cuoio borchiato sul tallone. Per il resto è il classico sessantatreenne giovanile: viso abbronzato da estate trascorsa su panfili d’altobordo, completo blu carta da zucchero, cravatta lilla a pallini.

La stanza è invece più decrepita. Mediocri mobili design di acciaio e simil velluto, schermi, tastiere, stampanti, neanche un quadro, tavolo sgombro, salvo una lumaca di latta che dovrebbe invitare Vespa a un improbabile riposo. Al centro dello studio, un enorme scadenzario disegnato a pennarello con le puntate di Porta a Porta di settembre e relativo share: alle stelle quella su Pavarotti, mediocre assai quella sul delitto di Garlasco.
«Me lo dici dove trovi il tempo per fare tutto?», chiedo a Vespa quando finalmente siede, spegne i cellulari, accavalla le gambe e fa dondolare i mocassini Sioux.
«Metto in fila le cose. Devo fare tutto con ordine perché non riesco a fare più di due cose insieme», mente spudorato proprio con me che l’ho appena visto moltiplicare mani e orecchie. Poi aggiunge: «Ci ho provato ma non riesco, per esempio, a leggere mentre sono bloccato da una telefonata seccante. Ho però scoperto che è possibile la lettura dei giornali mentre sono sul tapis roulant...».
Ti mantieni tonico col tapis?
«Ogni giorno che Dio manda in terra».

Dimmi la tua giornata tipo.
«Ogni giornata è diversa. Oggi è lunga. Mi sono alzato alle sei e mezza per finire il mio nuovo libro annuale sugli Amori dei politici da Mussolini e Vittorio Emanuele III a oggi. Ho scritto tre ore. Poi tapis roulant, toilette ed eccomi qua. Finita l’intervista, comincerò le riunioni. Oggi registro due trasmissioni di Porta a Porta. Stasera, ho una cena. Di notte non lavoro mai e a mezzanotte, come al solito, sarò a letto».

Il fatto che ti stia rubando un’ora rovina la tua tabella di marcia?
«In questo periodo, ogni ora ha un peso. Poiché debbo consegnare il manoscritto degli Amori a ottobre, vuole dire che il libro uscirà con un’ora di ritardo», mi colpevolizza.
«Nel frattempo esce anche la Storia d’Italia», dico senza lasciarmi intimidire.
«Sei volumi - dagli anni ’40 ai ’90 - sono già scritti. Il primo sul Duemila, è quasi finito. L’altro, lo è solo in parte. Finirò prima il libro annuale, poi mi dedicherò tutto alla Storia d’Italia».
«Fino a dove arrivi del 2007?».
«Più in là di oggi: fino alla Finanziaria, che si deve ancora discutere. Terminerò l’ultimo volume in tempo reale», dice come dicesse bruscolini. Poi balza su, sparisce nella stanza accanto e torna con il primo volume della Storia in edicola tra qualche ora. «È un’anteprima», dice e mi allunga un rispettabile tomo, blu come il suo vestito, con il profilo di Mussolini in copertina. «Sei tu?», gli faccio, alludendo alla sua somiglianza con il Duce tante volte evocata. Vespa mi guarda con sincero compatimento e si riaccoccola sulla poltrona di simil velluto e acciaio.

Come ti sei cacciato in una simile impresa?
«Tre anni fa, ho venduto 300mila copie della Storia da Mussolini a Berlusconi. Il successo mi ha incoraggiato. Il progetto con Mondadori è nato due anni fa. Abbiamo messo in piedi un gruppo di lavoro a Milano che mi dà una mano per la documentazione».

Il testo l’hai scritto tutto tu?
«Dalla A alla Z. Mi ha impegnato più del previsto. Un libro dura nel tempo e ho sentito una responsabilità maggiore di quanta non provi in una trasmissione televisiva, malgrado l’enorme numero di persone che ti vede e ascolta».

Sei svelto a scrivere?
«Rapido e, in genere, senza ripensamenti».

Ti sei ispirato a Indro Montanelli e Mario Cervi?
«Montanelli aveva una qualità di scrittura incomparabilmente superiore alla mia e un vantaggio: non aveva l’obbligo della documentazione. Era il maestro del verosimile, cosa che a me non sarebbe perdonata. Non so, per esempio, se le cose che fa dire a don Calogero Vizzini fossero vere o no. Ma neanche importa. Indro è un gigante, io un pulcino abruzzese».

Non credo gli farebbe piacere sentirsi dire che arronzava. Tu sei invece uno scrupolone?
«Se sono sopravvissuto ai miei libri annuali senza mai una smentita - io che, come te, non registro le interviste -, vuol dire che un minimo ci so fare. Indro sarà un cavallo di razza e io un mulo delle mie montagne, un mulo che però un po’ di strada l’ha fatta».

Churchill mise dieci anni per scrivere dei sei della Seconda Guerra mondiale. Tu, due anni per riepilogarne settanta. Vinci dieci a uno.

«Oh!», esclama Vespa compiaciuto. Poi si ridimensiona e dice: «Le sue memorie sono una pietra miliare. La mia storia un sassolino come quelli che si raccolgono sulla spiaggia e che, spero, si conservano poi perché ci si affeziona. Vorrei che la Storia d’Italia diventasse un’opera di famiglia».

Churchill ebbe il Nobel per la Letteratura. Tu a che punti?
«Insinui che avendo dato il Nobel a Dario Fo e minacciando di darlo a Benigni, mi ci possa avvicinare anch’io? Ti rassicuro: non concorrerò».

Hai consultato o fatto rileggere la tua Storia a storici di professione?
«Non ho consultato nessuno».

Da giornalista ti sei trasformato in storico. Gli storici arricceranno il naso.
«La verità è che, dopo il fenomeno Montanelli, non c’è mai stato un giornalista di area moderata che si sia permesso di fare storia. È sempre stata appannaggio della sinistra, accademica e no. Per il libro “da Mussolini a Berlusconi”, qualche storico mi ha rimproverato l’invasione di campo, ma mi aspettavo di peggio».

Questi storici di sinistra non sono poi così attendibili.
«Molti hanno ignorato le cose che non gli stavano bene, distorcendo i fatti. Io sulla Resistenza ho, invece, sentito anche i reduci di Salò, cosa che fino a qualche anno fa era considerata una scostumatezza».

Dove hai trovato le maggiori difficoltà?
«Sicuramente nel trattare l’immediato dopoguerra con la sua spirale di vendette. Le ferite sono ancora aperte. Non penso basterà la fine della generazione che ha vissuto le vicende per sanarle. Gli odi sono stati tramandati ai figli».

Nella lunga carrellata che hai fatto, quale italiano ti ha più colpito?
«De Gasperi. La sua dignità, la complessità del suo rapporto con la Chiesa. Un genio assoluto, dalla schiena dritta. A sinistra ho invece una gigantesca ammirazione per Antonio Gramsci. Mi dispiace di averne potuto parlare poco, poiché era già morto quando inizia la mia storia negli anni Quaranta. Ma racconterò di lui nel libro sugli amori degli italiani famosi».

Gramsci sì, Togliatti no?
«Togliatti era un politico di livello. Ma non lo ammiro affatto. Un cinico, per usare un eufemismo».

Craxi come emerge?

«In chiaroscuro. Grande statista, uno dei migliori politici d’Italia. Ma aveva perso il contatto con il suo Paese. Come per molti del Palazzo, a lui sembrava normale quello che non lo era».

Giustamente finito nel tritacarne?
«Che sia diventato il simbolo di Tangentopoli è un falso storico che cerco di chiarire».

Quello di Craxi fu un esilio o una latitanza, come diceva Francis S. Borrelli?
«Giuridicamente una latitanza, politicamente un esilio. Ma avrebbero potuto salvarlo. A Bompressi, dopo un anno, hanno concesso i domiciliari. Altrettanto hanno fatto con Sofri e con il povero e incolpevole Citaristi, malato di cancro. Il paradosso di Craxi è che, appena morto, da Palazzo Chigi - D’Alema premier - è venuta l’offerta di onorarlo con funerali di Stato!».

Nell’antologia sugli anni Sessanta, hai inserito un brano di Mario Calabresi, il figlio del commissario. Nessuno scritto di Adriano Sofri. Scelta di campo?
«Nel testo ci sono i miei colloqui con Pietrostefani che, tra l’altro, è stato mio compagno di scuola e di doppio a tennis. Ci sono anche gli incontri che ho avuto con Sofri. Ma pure la testimonianza di Luigi Calabresi, fratello minore di Mario, che era nella pancia della madre quando suo padre fu assassinato. Luigi dice: io non potrò mai perdonare».

Nel primo volume fai un parallelo tra Scelba, il ministro dell’Interno, e Di Vittorio, capo della Cgil. Ce n’è uno anche tra Berlusconi e Prodi?
«Il confronto tra Berlusconi e Prodi è nelle cose. Scelba e Di Vittorio, De Gasperi e Togliatti... tipi con due palle così. Avversari che si rispettavano, mentre Berlusconi e Prodi non si riconoscono. È la differenza tra Prima e Seconda Repubblica».

Ti è capitato di fare il pesce in barile?
«La mia Storia non è ideologicamente orientata. Nei punti delicati ho riportato le due versioni, ma non rinuncio a dire la mia».

Esempio?
«Ho parlato a lungo con i superstiti delle stragi naziste di Stazzema e Marzabotto, senza accontentarmi di ciò che era già stato scritto. È tutto più complesso, seppure egualmente orribile, di come sembra».

Via Rasella e Fosse Ardeatine?
«Ho avuto una lunga corrispondenza con Bentivoglio, l’attentatore di Via Rasella. Ma abbiamo opinioni diverse. Secondo me, l’attentato è stato un gravissimo errore. Che bisogno c’era? Gli americani erano ormai alle porte di Roma».

Quanto intaschi per questa faticaccia?
«Dipende da quanto vendo. Sono a percentuale. Sulla Storia ho scommesso molto. Per una volta, però, la fatica che ho fatto sarà superiore in ogni caso al reddito. Non me ne pento».

Con il tuo daffare, quanto tempo dai a moglie e figli?
«Io torno sempre a pranzo a casa e quasi sempre a cena. I miei due figli sono grandi - uno ha 28 anni, l’altro 26 - e il problema è quanto tempo danno loro a me, piuttosto di quanto ne dia io a loro».

Nella tua vita hai parlato più in tv o con tua moglie?
A questo punto, il mostro si immobilizza e vaga con gli occhi nel vuoto. Sembra ricapitolare un’esistenza a pane e tv. Dopo un paio di minuti abbondanti, dice: «Una puntata di Porta a Porta supera i cento minuti. In quale coppia, tra moglie e marito si parla per cento minuti? Difficile succeda. Quest’anno abbiamo fatto tutte le vacanze insieme. Alla fine, mia moglie ha detto: “Quanto tempo siamo stati insieme!” e forse sottintendeva: “Uffa!”».

Hai fama di micidiale promotore dei tuoi libri. Entri nelle librerie, cambi la mostra nelle vetrine, controlli le pile, ecc. Stavolta, farai il giro delle edicole?
«La distribuzione è fondamentale. Da ragazzo, quando lavoravo al Tempo, rubai un formidabile “strillone” al Messaggero. Un fenomeno capace di vendere da solo 300 copie.

Gli offrii più soldi e lo portai da noi».

Vendere è il tuo motto.
«Se scrivo un libro, vorrei che lo leggesse il maggior numero di persone. Scrivere per tenere nel cassetto non ha senso. Fama e vendite vanno di pari passo».

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