Storia e orrori del comunismo europeo

Un’indagine che smaschera i silenzi della sinistra francese sui crimini del marxismo

È questa la memoria che Il libro nero del comunismo ha sconvolto. La portata dello choc può essere misurata in base alla febbre che ha colto il mondo politico, mediatico e universitario nei mesi di novembre e dicembre 1997. La reazione più violenta è stata quella dei guardiani del tempio comunista, che si è manifestata con un marcato negazionismo. Il 7 novembre 1997, in occasione di una grande riunione commemorativa della Rivoluzione d’ottobre, Arlette Laguiller definiva gli autori del Libro nero del comunismo «sedicenti storici» e «falsificatori all’opera». Dalla «pasionaria» di uno dei principali gruppi trotzkisti francesi ci saremmo aspettati che si rallegrasse del fatto che venivano ricordati i crimini di Stalin e dei suoi emuli in Asia e nell’Europa dell’Est, perpetrati, tra l’altro, contro gli stessi trotzkisti. Ma il Libro nero affermava a chiare lettere che era stato Lenin a dare avvio a quel sistema, e quindi anche al terrore, il che era inaccettabile per una fedele seguace del bolscevismo. Il 14 novembre, il suo giornale, Lutte ouvrière, passava dal negazionismo alla minaccia, pubblicando una famosa immagine della propaganda bolscevica, un Lenin armato della scopa della rivoluzione, saldamente piantato sul globo terrestre, che scagliava nel vuoto intersiderale capitalisti, preti e monarchi, accompagnata dalla seguente didascalia: «Lenin ripulisce il pianeta. Ai personaggini da eliminare bisognerebbe senza dubbio aggiungere gli pseudo-storici falsificatori». \
Un’altra chiara manifestazione di negazionismo giunse da Jeannette Vermeersch, vedova di Maurice Thorez e molto vicina alla direzione del Pcf per quasi quarant’anni, la quale, su Le Figaro del 6 gennaio 1998, dichiarava senza scomporsi che Il libro nero del comunismo «era una terribile menzogna». Lei, che lo aveva conosciuto personalmente, poteva infatti affermare che Stalin aveva certamente «dei difetti e che aveva fatto degli errori», ma che era «una persona ragionevole». Nelle sue Memorie, pubblicate nel 1998, scrive a proposito del «Rapporto segreto» di Kruscev di cui, insieme al marito, segretario generale, aveva negato a lungo persino l’esistenza: «Il testo di Kruscev arrivò e venne sfruttato... : si è parlato di milioni di morti. Solzenicyn superò il centinaio ed Ellenstein si limitò a “una decina”... Questo consentiva di fare un paragone tra Stalin e Hitler. Io penso che tutto ciò sia falso. Non credo \ ai milioni di morti o di prigionieri politici... ». \
Un simile atteggiamento negazionista è superbamente illustrato dalle Memorie di Jacques Jurquet che fu, vent’anni fa, capo del Partito comunista marxista-leninista di Francia (Pcmlf). Nelle sue Memorie, Jurquet ricorda i suoi undici viaggi «ufficiali» nella Cina maoista \. Questi racconti ricordano da vicino quelli dei numerosi turisti politici, comunisti e no, che visitarono l’Urss negli anni Venti-Trenta e nei decenni successivi: non una parola sui massacri di massa dei «nemici del popolo» o sulla carestia del 1959-61, che fece decine di milioni di morti, nulla su quella tragedia che fu la Rivoluzione culturale, in particolare per le élite intellettuali e tecniche, silenzio assoluto sul lento genocidio del Tibet. \
Più sorprendente ancora è il racconto del sostegno indefettibile del Pcmlf ai khmer rossi. Il 9 settembre 1978, alcuni mesi prima del crollo del regime e quando ormai le atrocità da esso commesse cominciavano a essere note all’estero, una delegazione del Pcmlf guidata da Jurquet giunse a Phnom Penh in visita «ufficiale». Ciò che colpisce il nostro testimone è l’aspetto «diciamo surrealista» \ della capitale cambogiana, svuotata dei suoi tre milioni di abitanti nei pochi giorni seguiti alla presa del potere da parte dei khmer rossi. Egli riconosce in tutto ciò «un evento inatteso di cui non si conosce alcun precedente nella storia, neppure durante la Seconda guerra mondiale». Una simile scena non lo induce comunque a qualche riflessione, quando proprio quell’atto tanto singolare era la prova della folle ideologia totalitaria dei khmer rossi, che avrebbe provocato i primi grandi massacri di massa organizzati dal regime. \
Jurquet spinge il negazionismo sino a fare propria una dichiarazione di Pol Pot, pubblicata da Le Monde il 23 ottobre 1998, in cui il dittatore cambogiano sosteneva che «il centro di tortura di Tuol Sleng era solo un’invenzione vietnamita». A quell’epoca, tuttavia, era già stato documentato che 20.000 «nemici del popolo» erano stati rinchiusi nella prigione centrale di Phnom Penh e che nessuno di loro ne era uscito vivo: tutti, bambini compresi, erano stati giustiziati dopo abominevoli torture. \
In Francia, il bombardamento ideologico a favore del comunismo è stato tale da contaminare, per decenni, l’intera società, togliendole la capacità di reagire. Una tendenza politica che si rifaceva al comunismo \ ha potuto così impunemente promuovere un sistema propagandistico, il quale ha assunto la forma di una memoria collettiva che osannava carnefici macchiatisi di crimini contro l’umanità e, attraverso tale sistema, farsi beffe di innumerevoli vittime provenienti in gran parte da quello stesso «popolo» che i comunisti sostenevano di «servire» o dal «proletariato» di cui si proclamavano «l’avanguardia». \
Tutti questi negazionisti hanno puntualmente stigmatizzato Il libro nero del comunismo e i suoi autori, presentandolo talora come una volgare operazione commerciale. \ È quindi con una certa ironia che mi appresto a rammentare che il 7 novembre 1936, sessantun anni esatti prima della pubblicazione del Libro nero del comunismo, André Gide pubblicava il suo Ritorno dall'Urss, paese in cui aveva appena fatto un viaggio trionfale ma organizzatissimo, durante il quale aveva notato che «... la minima protesta, la minima critica è soggetta alle peggiori pene e comunque subito ridotta al silenzio». E concludeva: «E ho l’impressione che in nessun altro paese oggi, nemmeno nella Germania di Hitler lo spirito sia meno libero, più piegato, più timoroso (terrorizzato), più asservito». Gide aveva subito numerose e forti pressioni da parte di intellettuali comunisti per rimandare la pubblicazione del libro, se non addirittura per rinunciarvi.

\ Dato l’immenso successo di Ritorno dall’Urss (centocinquantamila copie e quindici traduzioni in un anno), una vera e propria bomba nel clima filocomunista del Fronte popolare, non mancò un compagno di strada del Pcf che dichiarò pubblicamente che il libro non era altro che un’operazione commerciale. \

© 2006 Arnoldo Mondadori Editore Spa, Milano. Titolo dell’opera originale: Du passé faisons table rase! I edizione marzo 2006 (traduzione di Alessandra Benabbi e Cristiana Spitali).

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