«La storia? No, grazie A scuola studiamo solo Facebook e i blog»

Caro direttore,
questa mattina, ho letto sul nostro splendido Giornale una notizia che mi ha sorpreso e un po' preoccupato. Mi riferisco alla proposta governativa fatta per i programmi ministeriali delle scuole primarie britanniche che prevede l'addio alle lezioni di storia sacrificate sull'altare di internet. Sì, perché da quello che ho letto, ai bambini non si insegneranno più le radici storiche della nostra civiltà ma a navigare nei blog. Ora, capisco la modernità e la necessità di stare al passo con i tempi, ma siamo sicuri che sapersi destreggiare nei social network sia la chiave giusta per il loro futuro? Ci lamentiamo che il livello scolastico, in generale, sia peggiorato e cosa ti fanno gli inglesi? Ti insegnano a fare le ricerche su Wikipedia invece che studiare sui libri? E noi poveri genitori, che almeno prima potevamo ripassare con loro, sui libri di testo, adesso come potremmo interrogarli per vedere la loro preparazione? Via e-mail? Aprendo un blog? Chattando?
Massimo De Leopardi - Verona

Sono contento che non le sia sfuggita la notizia, caro De Leopardi. In effetti, è piuttosto curiosa. E preoccupante. Nei programmi scolastici inglesi sparisce la storia ed entra la tecnologia: via Churchill, entra Facebook; via la Regina Vittoria, entra Wikipedia. Enrico VIII? No, basta l'Ipod. I ragazzini potranno non sapere nulla della prima e della seconda guerra mondiale. L'importante è che sappiano navigare fra i blog. Lucignolo non avrebbe saputo far di meglio. E infatti la polemica divampa. L'ortografia? È meno importante della correzione automatica. La geografia? Lascia posto al Twitter, nuova diavoleria elettronica che, spiega Wikipedia, serve a «dare informazioni sul proprio status. Per esempio: l’utente sta bevendo una tisana alla vaniglia». I ragazzi esultano, i produttori di tisane alla vaniglia pure, ma i genitori (giustamente) si preoccupano. Stiamo crescendo una generazione convinta che Annibale sia un avatar e le guerre puniche siano state combattute per email. E che, in ogni caso, più che i sette re di Roma è importante sapere se uno sta bevendo o no la tisana alla vaniglia... Tanto che verrebbe da chiedersi un po' controtendenza: è giusto dare tutta questa importanza al computer a scuola? È giusto puntare sulla tecnologia anziché sulle conoscenze? Qualche tempo fa il professor Giorgio Israel, un’autorità in materia, ha scritto un bellissimo articolo sul Foglio: «Il computer non è un idolo». Internet e il pc, sosteneva, non devono essere considerati totem, ma meri strumenti più o meno utili a seconda delle circostanze. E ricordava che ormai «negli Stati Uniti si tende a limitarne l'uso nelle scuole». In Massachusetts, per esempio, grazie a un «approccio tradizionale» si sono ottenuti ottimi risultati, anzi uno «spettacolare miracolo educativo», che ha portato quello Stato in testa in tutte le valutazioni federali. Senza computer? Senza computer. Secondo me Israel ha ragione e dunque le sue preoccupazioni, caro lettore, sono più che fondate: bisogna stare attenti a beatificare la tecnologia tout court. Qualche mese fa, per esempio, una professoressa mi ha raccontato di uno studente cui aveva dato una ricerca, che si è presentato alla cattedra con venti fogli stampati. Lei ha chiesto: che cosa dicono? E lui sorpreso: non li ho mica letti. Si capisce: se l'importante è sapere usare Internet, a che serve leggere? Basta stampare.

E studiare? Inutile. C’è l’on line. Via i libri, c'è Google, via i manuali c’è il mouse. E per quanto riguarda la memoria è sufficiente quella della chiavetta Usb. D’accordo. Poi però non lamentiamoci se i cervelli vanno in tilt.

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