La «storia orizzontale» di un beat prima dei beat

Era l’ultimo rappresentante della gloriosa generazione dei Beat, Harold Norse, scomparso a 92 anni a San Francisco il 12 giugno scorso: «il miglior poeta della sua generazione», come lo definì William Carlos Williams. Forse il migliore, certo non il più noto, almeno in Italia, dov’è conosciuto soprattutto per le sue pregevoli traduzioni dei sonetti del Belli. Figlio illegittimo di un’ebrea lituana, nasce nel 1916 a New York, e anagramma il suo vero nome Rosen in Norse. La sua vita, lunga e avventurosa, coincide con la storia della letteratura moderna americana, anche se i più scatenati Bukowski, Ginsberg, Corso, Ferlinghetti & company eclissano la sua fama. Lui, pur conscio del suo valore, è un lupo solitario, troppo orgoglioso per autopromuoversi: «Ho un grande ego, ma non muoverò un dito per pubblicizzare il mio lavoro», dice. Un lavoro di tutto rispetto: 12 raccolte di versi che gli valgono prestigiosi riconoscimenti.
Sopravvissuto ai mostri sacri della Beat Generation, è stato anche il loro precursore, avendo cominciato a scrivere fin dagli anni ’40 e ’50 di sesso e omosessualità nello stile colloquiale, spregiudicato e scandaloso che doveva diventare la cifra del movimento. Nel 1939, a una lettura, conosce W.H. Auden, e ne diventa il segretario-amante. Per sottrarsi all’ostracismo di un’America ancora bigotta, si autoesilia in Europa per 15 anni, dando inizio a una cinquantennale odissea letteraria ed erotica, che descriverà nell’autobiografia Memoirs of a Bastard Angel (1989). Vive a Parigi, conosce tutti i letterati, percorre l’Europa e l’Africa. Negli anni ’70 torna in America, dove pubblica Hotel Nirvana (1974), Carnivorous Saint (1977), The Love Poems (1986), Collected Poems (2003), e, nel 1990, The American Idiom, il suo importante epistolario con W.C. Williams, da cui si aspetta di ottenere il posto che merita (e che molti gli riconoscono) nella letteratura statunitense.


La poesia di Norse affronta il tema della sessualità e dell’identità gay (Ferlinghetti definirà scherzosamente la sua una «storia orizzontale»). Ma nei suoi versi c’è soprattutto rabbia, tristezza e orgoglio: «Non sono un uomo. Scrivo poesia./ Non sono un uomo. Medito sulla pace e l’amore./ Non sono un uomo. Non voglio distruggerti».

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