Storia di una principessa che sa sorridere alla vita

Questa è una storia vera, anche se porta il nome di una favola. Tragicomica, preciserebbe la protagonista, una donna rara come le due sindromi che si porta addosso. La principessa sul pisello, al secolo Marina Garaventa, dal suo «trono» con tanto di respiratore che la fa vivere da ormai 4 anni, muta di voce ma armata di pc con cui emana editti e lancia messaggi al mondo, ha raccontato la sua storia. La sala di palazzo Ducale allestita per la presentazione del suo libro, La vera storia della principessa sul pisello (De Ferrari editore, 142 pagg., 10) straripava di gente, stretta ad «ascoltare» Marina. Eppure lei non c’era, almeno fisicamente. Dalla cinquecentesca «Villa Arzilla» a Savignone, la principessa immobile è riuscita a radunare tutto quel popò di gente e... a farla ridere! Ridere, avete letto bene. Le sue parole, affidate ora alla voce della bravissima attrice Carla Peirolero, ora a un sintetizzatore vocale, hanno strappato risa genuine, e molte. È così che vuole Marina, questo il suo motto: se non rido, non vivo. E fa ridere di cuore, fa stringere anche il cuore, la storia di questa donna dal corpo delicatissimo, abituato dalla nascita alla sofferenza, ma con «lo stomaco, il cuore, la corazza di un portuale, di un cavaliere, foss’anche Lancillotto» scherza Emilia Tasso, la fisioterapista-amica, complice e coautrice del libro. «Io e la mia famiglia siamo dei lottatori, la mia vita è inziata con un duello» scrive Marina, e il suo nemico era crudele: sindrome di Ehler Danlos, che colpisce i tessuti e i legamenti, così rara da non essere quasi per nulla studiata. «Un c... pazzesco» commenta sua maestà, conscia di incarnare un monumento a Ippocrate. E non risparmia l’ironia neanche ai suoi (anch’essi rari) genitori... «ma a che cavolo stavano pensando mentre mi concepivano?».
Non ha rimpianti né rimorsi Marina, la sua «prima vita» è stata ricca e stimolante nonostante i tantissimi interventi e limitazioni della malattia congenita. Nata a Genova nel 1960, fin da bambina ha respirato musica dal papà Ottavio, energico tenore di successo mondiale, e dalla zia Rosetta, soprano. Da grande si è occupata di musica e di spettacoli, è stata assessore alla cultura e ai servizi sociali e ha scritto un romanzo, Scuola di canto, sul variopinto mondo della lirica che le girava intorno. E anche ora che può muovere solo le mani comunica a gran voce con il mondo tramite il suo popolarissimo blog www.laprincipessasulpisello.splinder.com. Non l’amava prima, ma ora adora la tecnologia, che le offre le uniche due possibilità di vivere: respirare, e comunicare. «Finché mi relaziono, finché penso, do e ricevo... quindi vivo». Scrive di sé e risponde alle domande che molti le pongono, sulla vita, sulla morte - «voglio arrivarci viva!» -, su Dio. «Con Lui ho un rapporto di non belligeranza, diretto. Non prego ma parlo, gli faccio domande, non tanto sulla mia sfiga ma sui dolori del mondo. E la domanda è sempre una: perché? Attendo risposte sensate». La principessa tinge di ironia anche l’amarezza più sfacciata: «Cosa mi manca? S-c-o-p-a-r-e!».
Ha sì «pescato» un male raro Marina, ma la vita l’ha ricompensata con un’intelligenza di pari rarità, una famiglia straripante di amore e coraggio, e infine un compagno che da dieci anni le sta a fianco e non si è tirato indietro davanti alla malattia, anzi. Più unico che raro. «A Genova non esiste un reparto di riabilitazione del respiro, così mi hanno affidato al dott. Ennio Mantellini dell’ospedale di Alessandria, che tuttora mi cura. Sono stata laggiù ben 13 mesi. Il mio compagno non è mai mancato una sera... faceva 140 km al giorno». Marina non ha mai smesso di comunicare, nemmeno quando le è caduta addosso la seconda sfigatissima rarità, che sommata alla prima l’ha inchiodata al respiratore: la sindrome di Guillain Barré. Altra malattia semisconosciuta che si accanisce contro i nervi e i muscoli. E qui la favola assume una sfumatura che ha dell’incredibile, mettendo a dura prova uno dei capisaldi del «buon giornalista»: il distacco. Perché le mani di chi scrive ricordano bene l’immobilità e il dolore, la paura iniettata in ogni cellula, che provoca la sindrome di Guillain Barré. Mani che il destino ha intrecciato con quelle di Marina, mani che si sono stupite nel ricevere da quel corpo fragile così tanta forza di vivere.

«L’anima leggera, senza più corpo, diventa un microscopio per avvicinare anche le stelle» racconta la «principessa» nel suo libro, ed è così che ricordo quel pomeriggio passato con lei: come illuminato dalla luce forte di una stella.

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