La storia Streltsov, il campione finito nel Gulag

Eduard Streltsov amava l’alcol e le belle donne. Eduard era un campione, giocava nella Torpedo, celebre squadra di calcio russa, la folla impazziva per le sue giocate, grazie a lui l’Urss vinse l’oro alle Olimpiadi del ’56. Eppure quel modo di vivere troppo «filo-occidentale» gli costò la carriera. E un bel pezzo di esistenza.
Marco Iaria, giornalista della Gazzetta dello Sport, nel libro «Donne, vodka e gulag» (Limina, pp. 160, 19.90 euro), ne racconta la controversa vicenda culminata nell’infamante accusa di stupro e nella deportazione in un gulag.
Nel 1958, Streltsov, condannato a 12 anni in un processo «farsa», viene mandato in un gulag. Ridotta la pena a cinque anni per volontà di Breznev, indossa nuovamente la maglia della Torpedo nel 1965 e vince il campionato. Ritiratosi nel 1970 dopo un infortunio, Streltsov fino alla scomparsa, avvenuta nel 1990 per un cancro ai polmoni, insegna calcio ai bambini.
Il suo caso viene riesaminato nel 2001.

Si riscontrano diverse anomalie nello svolgimento del processo: testimoni oculari inesistenti o rivelatisi lontani diversi chilometri dal luogo del delitto, richieste di aiuto della vittima mai comprovate da testimonianze dirette. Il comitato chiede all’autorità russa di riaprire il caso, ma non c'è niente da fare.
Ancora oggi Streltsov attende una riabilitazione.

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