«Avevo mirato alla testa dell'autista, ma non ero certo di averlo colpito; anche Curtis aveva sparato con la sua MP5, se quel bastardo era ancora vivo aveva avuto una grande fortuna, è difficile sopravvivere a raffiche di M4 sparate a circa quattro metri di distanza. Ma l'importante era che non avevamo avuto perdite e del destino di quei bastardi non ci importava niente: sicuramente non avrebbero fatto molta strada, oggi era il loro giorno fortunato ma certo domani se non noi qualche pattuglia dell'esercito americano li avrebbe tritati vivi».
A parlare dei suoi rapporti non proprio amichevoli con i ribelli irakeni è Gianpiero Spinelli, di professione «contractor», e cioè guardia armata a protezione di Vip che, per lavoro, devono recarsi in una zona di guerra decisamente pericolosa come l'Irak. Spinelli, un ex paracadutista della Folgore di 35 anni, è autore del libro «Contractor» (Mursia Editore, 408 pagine, 18 Euro) ed è indagato dalla magistratura di Bari per «arruolamento o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero» (articolo 288 del Codice Penale). Secondo l'accusa, Spinelli sarebbe stato un socio della Praesidium Corporation, la compagnia italiana di guardie del corpo che avrebbe assunto, e inviato in Irak, Fabrizio Quattrocchi, il genovese che il 14 aprile del 2004 è stato ucciso con due colpi di pistola dai guerriglieri islamici delle Falangi di Maometto. Aveva 36 anni. I terroristi arabi lo avevano rapito alcuni giorni prima insieme ai suoi colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio perché, così facendo, volevano costringere i soldati italiani a lasciare l'Irak. Questi ultimi tre furono liberati dalle truppe americane l'8 giugno 2004, dopo 58 giorni di prigionia.
La morte di Quattrocchi suscitò una forte emozione in tutto il mondo. Ripreso in video da un tale Abu Yussuf, che tra l'altro parlava italiano, le immagini ci mostrano il giovane genovese con blue jeans e maglietta, le mani legate dietro la schiena, la testa coperta da uno straccio, inginocchiato davanti ad un fosso. Poco prima di essere ucciso, Quattrocchi si rivolge al suo assassino e gli dice, distintamente e con voce ferma: «Adesso ti faccio vedere come muore un italiano». Furono le sue ultime parole. Subito dopo due colpi di pistola lo colpirono alla testa e al torace ponendo fine alla sua esistenza. I resti di Fabrizio Quattrocchi, dilaniati e mutilati, furono restituiti all'Italia solo il 21 maggio 2004. I funerali avvennero, in forma solenne, il 29 maggio nella cattedrale genovese di San Lorenzo. Pressato dalla sua maggioranza di sinistra, l'allora sindaco Pericu gli negò gli stessi onori che, invece, erano stati concessi a Carlo Giuliani. Per i compagni comunisti, evidentemente, restare ucciso assaltando una camionetta dei carabinieri durante il G8 del 2001 era più commendevole che morire assassinati in Irak, dichiarandosi orgoglioso di essere italiano.
Nonostante gli strepiti della sinistra, su proposta dell'allora ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, il 13 marzo 2006 a Fabrizio Quattrocchi venne conferita la medaglia d'oro al valor civile alla memoria. Consegnandola ai famigliari, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ne lesse la motivazione: «Vittima di un brutale atto terroristico rivolto contro l'Italia, con eccezionale coraggio ed esemplare amor di Patria, affrontava la barbara esecuzione, tenendo alto il prestigio e l'onore del suo Paese, 14 aprile 2004 - Irak».
Quella medaglia d'oro, però, non è mai andata giù ai militanti dell'universo ex e post comunista. Per anni Quattrocchi è stato definito un mercenario, un soldato di ventura dei tempi moderni che era finito nel bel mezzo di un conflitto come quello irakeno, soltanto per soldi. Ebbene adesso il libro di Spinelli svela una realtà che nel mondo molti già conoscevano, ma che in Italia qualcuno aveva ritenuto di non mettere troppo in mostra. E cioè la realtà di una guerra cruenta e selvaggia dove le truppe regolari dei vari Paesi impegnati nel teatro delle operazioni non potrebbero agire come fanno, se non fossero affiancate da privati armati specializzati in quel lavoro di protezione delle persone che i normali militari non sono in grado di eseguire semplicemente perché non sono addestrati a farlo.
«Noi non cacciavamo nessuno - scrive Spinelli - eravamo le prede, dovevamo contare solo sulla prevenzione: non farci precedere e analizzare, in questo modo saremmo riusciti a rimanere vivi e a proteggere con successo i nostri Vip». E aggiunge: «Non importa chi stai proteggendo, se un generale, un manager, un giudice o il presidente degli Usa, stai proteggendo una vita completamente nelle tue mani. La responsabilità di questa professione, da molti criticata ingiustamente, supera qualsiasi nobile sentimento; è una virtù, anzi un dono che pochi hanno. Molti professionisti sono dei grandi combattenti, dei killer nati, ma non hanno il dono di essere guardiani della vita altrui».
Pare, testimonia Spinelli, che Fabrizio Quattrocchi avesse questa capacità. E nel suo libro ci racconta appunto come andarono realmente le cose e come avvenne che il giovane genovese e i suoi tre colleghi vennero rapiti dai terroristi islamici.
Nella primavera del 2004 il gruppo di italiani diretti in Irak si incontrò all'aeroporto romano di Fiumicino, pronto ad imbarcarsi su un volo della Air Jordanian alla volta di Amman, in Giordania. Spinelli, Umberto Copertino e altri due appartenevano alla BGE 2000, una società di sicurezza francese con sede a Nizza. Erano tutti professionisti provenienti da varie forze armate italiane, erano stati istruiti dai reparti speciali dell'esercito israeliano e avevano partecipato a corsi con ex operatori dei corpi scelti americani della STTU di Los Angeles. Fu in quell'occasione che Spinelli e i suoi amici videro per la prima volta Salvatore Stefio, direttore della Praesidium Corporation, e cioè colui che li aveva assunti per quell'operazione. A offrire l'opportunità, racconta Spinelli, fu un ufficiale della Marina Militare Italiana che, a bordo di una motovedetta ormeggiata nel porto di Bari, disse loro che si trattava di un lavoro pulito e legale, in quanto consisteva nel proteggere uomini d'affari di una multinazionale americana.
Arrivati ad Amman, furono accolti «da un uomo sulla trentina con un forte accento genovese, alto circa 190 centimetri. Vestiva con un classico abbigliamento di chi opera in Paesi desertici, Desert boot dell'Alabama, pantaloni color sabbia della 511, una camicia scura e una kefiah verde e nera al collo, la stessa usata dagli uomini della Coalizione in Afghanistan». Questo personaggio, che si presenta col nome di Kriss e tale resta per tutto il libro, pare che fosse piuttosto arrogante ma anche molto amico di Fabrizio Quattrocchi. E fu proprio Fabrizio che la comitiva incontrò all'Hotel Babylon di Baghdad, dove il genovese (ex caporalmaggiore degli alpini ed esperto di arti marziali) lavorava come guardia del corpo degli ospiti dell'ottavo piano. Ma in quell'occasione Stefio ricevette una telefonata dall'ufficiale della Marina Militare Italiana: l'operazione era saltata e tutti se ne potevano tornare a casa. Era successo che la Bearing Point, la compagnia americana che aveva richiesto i servizi del gruppo italiano, si era spaventata per l'eccesso di rischio in terra irakena e aveva sciolto il contratto. In pratica, erano tutti disoccupati, tranne Quattrocchi il cui mandato scadeva un mese dopo. Per lui, dunque, la disoccupazione era solo posticipata di trenta giorni. Che fare, quindi? Fu così, racconta sempre Spinelli, che a Stefio venne la brillante idea di inviare i suoi ex dipendenti al CPA di Baghdad, e cioè lo stato maggiore delle forze di occupazione americane, per chiedere lavoro. La proposta era meno peregrina di quel che sembra, in quanto in Irak operava già da un pezzo la Compagnia delle Indie, cioè una società che forniva guardie private armate e che lavorava per il Dipartimento della Difesa americano sin dal 1948. La Compagnia delle Indie, da non confondersi con l'omonima società britannica di ottocentesca memoria, recentemente aveva condotto «operazioni particolari in Afghanistan, Bosnia Erzegovina e in altre aree di conflitto».
Non tutti i componenti del gruppo erano d'accordo. Alcuni volevano tornare in Giordania e da lì prendere il primo volo per Roma. Per farla breve, l'indomani mattina Spinelli, Quattrocchi e Kriss si recarono al Gardenia Hotel, quartier generale della Compagnia delle Indie, dove vennero subito assunti con la paga mensile di diecimila dollari a testa. Spinelli e Kriss avrebbero preso servizio subito, Quattrocchi alla fine del suo mandato. Anche perché, prima di dedicarsi alla nuova occupazione, voleva accompagnare gli altri suoi amici, quelli che volevano tornare in Italia, in Giordania.
Ma il destino aveva ben altro in serbo per lui. Infatti fu proprio durante quel trasferimento da Baghdad ad Amman che Quattrocchi, Cupertino, Agliana e Stefio vennero rapiti dai terroristi islamici. E Fabrizio venne scelto come vittima sacrificale.
Spinelli ha parole d'affetto verso Quattrocchi: «Rimasi impressionato dall'umiltà di Fabrizio, che si comportava con grande semplicità con tutti noi - lo ricorda - Era incredibile come fosse calmo; con la sua calma riusciva a trasmetterci molta tranquillità. Era la classica persona che avrei voluto come partner in operazione...».
Fabrizio Quattrocchi, insomma, non era, al contrario di molti suoi colleghi, un uomo in cerca di emozioni forti, che sfogava nelle armi e nella violenza una mal interpretata voglia di vivere e di protagonismo. Lui voleva soltanto fare quel mestiere per mettersi qualche soldo da parte e poi tornarsene a casa dalla fidanzata.
D'altra parte il rischio di quell'attività paramilitare era veramente elevato. Soprattutto in caso di imboscata, mentre ci si trasferiva in auto da un posto all'altro. «La sorte dell'equipaggio - spiega Spinelli, illustrando quello che succedeva in quelle circostanze - era questa: tutti morti, altrimenti sarebbero stati mutilati terribilmente, è difficile uscire intero quando una bomba di artiglieria esplode a un metro di distanza. Le schegge, lanciate dall'esplosione a mille metri al secondo, distruggono qualsiasi blindatura, squarciano i giubbotti antiproiettile e penetrano nelle membra. Le carni vengono lacerate e bruciate dalle schegge incandescenti, destabilizzate dalla velocità prodotta dall'onda d'urto. Le parti ossee del corpo vengono tagliate senza nessuna difficoltà e le ferite, molto irregolari, non lasciano scampo. È l'incubo peggiore, qui in Irak e in tutte le guerre, accade così rapidamente che non si ha il tempo di capire; se si è colpiti dall'esplosione l'unica cosa che si può sperare è di morire sul colpo e non tra dolori lancinanti in un letto d'ospedale».
Questo è quello che rischiano i contractors, oltre alla truppe regolari, in uno scenario di guerra. C'è da domandarsi, però, perché il ruolo di questi uomini non sia mai stato ben chiarito nel nostro Paese. La Radio Televisione della Svizzera Italiana (RTSI) il 14 maggio del 2004, durante il programma «Falò» ha mandato in onda un ampio servizio sulle guardie di sicurezza private operanti in Irak. L'inchiesta era nata da un'idea della Televisione Svizzera Francese. Nel reportage, durato quasi 40 minuti, gli ultimi otto minuti sono dedicati alla Praesidium Corporation, la compagnia di sicurezza per cui lavorava Quattrocchi. Nel video si vede appunto il giovane genovese, armato di fucile automatico e pistola, mentre sorveglia la zona dove si sta svolgendo l'intervista. In altre inquadrature si vedono Quattrocchi e altri due mentre si allenano sparando col fucile in un'area desertica.
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