Militare e martire. Quel padre (spesso dimenticato) della Resistenza

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo è uno dei padri della Resistenza. Colonnello passato alla clandestina, organizzò la resistenza antitedesca dei militari a Roma. E morì da martire alle Fosse Ardeatine

Militare e martire. Quel padre (spesso dimenticato) della Resistenza

Quella di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo è una storia di coraggio ed eroismo nel turbine della Seconda guerra mondiale. L'ufficiale nato nel 1901, figlio di un'antica dinastia nobile del cuneese, fu tra i protagonismi dell'organizzazione che tra il 1943 e il 1944 portò molti militari a organizzarsi contro l'occupazione tedesca e la Repubblica sociale italiana. Assieme al coraggio dei martiri di Cefalonia e degli Internati Militari Italiani che rifiutarono di tornare a combattere a fianco dei tedeschi, la storia del suo Fronte militare clandestino mostra il contributo militare del Regio Esercito alla Resistenza. Spesso dimenticato.

Da brillante ufficiale a "clandestino"

I militari, legati dal giuramento al Re, non accettavano l'occupazione della Germania nazista di parte del Paese, avevano mal sopportato la guerra contro le potenze occidentali e, dopo avere assistito alla deportazione di 600mila commilitoni, avevano giurato vendetta all'Asse e a chi, a Salò, non aveva fatto nulla per impedirlo. La base di quello che sarebbe il Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) fu costituito, prima dell'insurrezione partigiana, dal Fronte Militare Clandestino che ebbe in Montezemolo un comandante e un animatore.

Montezemolo, prima della Seconda guerra mondiale, fu studioso di ingegneria militare. Ufficiale di carriera, andò volontario nella Guerra civile spagnola nel 1937 nel corpo di spedizione italiano, e in seguito fu membro dello Stato maggiore dell'Esercito durante la campagna d'Africa tra il 1940 e il 1943. Perfetto conoscitore delle tradizioni militari tedesche, fu più volte chiamato a parlamentare per gestire l'estro militare, geniale e narcisista, di Erwin Rommel e dell'Afrika Korps per conto di Ugo Cavallero, superiore formale della "Volpe del Deserto".

Militare di comando e organizzazione, Montezemolo ebbe il primo, significativo, comando operativo nel luglio 1943, caduto Benito Mussolini, su ordine del generale Pietro Badoglio, nuovo presidente del Consiglio. L'11° Raggruppamento del Genio Motocorazzato schierato a Roma fu la formazione che il colonnello di stirpe cuneese si trovò a guidare.

Fu nelle torbide giornate della Roma post-fascista e non ancora occupata dai tedeschi che Montezemolo iniziò a tessere la rete con l'opposizione clandestina e i comandi Alleati. Si interfacciò direttamente con un generale delle terre dei suoi avi, Giorgio dei Calvi di Bergolo, referente della piccola nobiltà cuneese, che aveva dato all'Italia in passato già l'eroe di Adua, Giuseppe Galliano. Nelle settimane concitate tra il 25 luglio e l'8 settembre, giorno della resa dell'Italia, preparò le forze del Genio all'inevitabile reazione tedesca. Assieme a Calvi, non lasciò Roma "città aperta" dopo la fuga del re Vittorio Emanuele III e di Badoglio a Brindisi.

Montezemolo comandante clandestino

Nella storia personale di Montezemolo c'è la vita di un militare leale, fino all'ultimo, al giuramento alla Corona. Disilluso dal fascismo, non lo stimò mai particolarmente dopo l'esperienza in Spagna né manifestò - come insegna la sua personale esperienza africana - astio verso i tedeschi. Fu solo quando la Wehrmacht e le SS entrarono a Roma colpendo la resistenza dei pochi reparti italiani che avevano difeso la Capitale e iniziando repressioni e rastrellamenti, che Montezemolo passò all'aperta opposizione organizzando la Resistenza clandestina. L'arresto di Calvi di Bergolo al ministero della Difesa il 23 settembre 1943 lo spinse alla clandestinità.

Montezemolo sfruttò le capacità di organizzatore per consolidare il Fronte Militare Clandestino di Roma che preparava la creazione di un caposaldo di resistenza alla Wehrmacht. I militari alla macchia dopo le retate germaniche furono cercati e arruolati. Si stabilì un ponte radio con Brindisi per dialogare con il governo nella zona liberata. Assieme alla "Banda Caruso", l'equivalente costituito dal generale Filippo Caruso per i Carabinieri, ai reparti clandestini di Marina e Servizio d'Informazione Militare e alle avanguardie del Cln, il Fronte costituì un primo punto di riferimento per dimostrare al re e al comando alleato l'esistenza di una volontà combattiva nell'Italia occupata e di un primo embrione di Resistenza.

Montezemolo si distinse per quattro mesi reclutando personale, compiendo sabotaggi e raccogliendo informazioni con metodi di intelligence umana e sul campo sulle posizioni tedesche e l'umore della popolazione. Invitò più volte gli Alleati a non bombardare Roma per non fornire elementi alla propaganda germanica. I generali Harold Alexander e Wesley Clark gli affidarono le comunicazioni tra il loro XV Corpo d'Armata angloamericano e le prime frazioni del Cln nell'Italia occupata.

La cattura

Monarchico e fedele al suo giuramento, sempre pronto a emanare direttive in nome di "Sua Maestà il Re", Montezemolo iniziò a organizzare a distanza i primi raggruppamenti di partigiani d'area monarchica nel centro Italia, nella zona del Monte Amiata, da cui prese nome un celebre raggruppamento. Troppo per i reparti tedeschi, soprattutto per le SS di Herbert Kappler, che gli diede personalmente la caccia. Il 25 gennaio 1944, infine, Montezemolo fu arrestato a Roma assieme al commilitone del Fmc Filippo De Grenet.

Le ipotesi sull'arresto variano a seconda della versione. C'è chi parla di un tradimento da parte degli interlocutori del Cln più oltranzisti nella lotta antimonarchica, nonostante l'ottimo rapporto personale tra l'ufficiale sabaudo e Giorgio Amendola del Partito Comunista Italiano, con il quale aveva concordato anche la consegna alle squadre rosse di armi, bombe e tritolo necessari alle operazioni di disturbo alla Wehrmacht impegnata nella durissima battaglia di Anzio. Altre ipotesi parlano di un cedimento informativo nella rete del Fmc o di una sovraestensione delle responsabilità in rapporto a un organico di poche centinaia di operativi.

Per 58 giorni Montezemolo fu tenuto agli arresti nella caserma di Via Tasso e torturato da SS e Gestapo. Le testimonianze successive alla guerra confermano che non tradì nessuno dei suoi compagni di militanza clandestina salvando così la struttura romana del Cln e del Fmc. La svolta per la sua posizione personale avvenne con l'attentato di Via Rasella dei Gruppi d'Azione Patriottica comunisti propiziato da Amendola. La morte di 32 militari del Reich della portò al tragico epilogo della rappresaglia delle Fosse Ardeatine.

Montezemolo vittima alle Fosse Ardeatine

Kappler, assieme a Erich Priebke, selezionò buona parte dei 335 italiani detenuti nelle carceri per attività sovversive e antitedesche che furono fucilati il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Tra di loro, anche il colonnello Montezemolo. Il questore di Roma Pietro Caruso, il capo delle bande fasciste di Roma Pietro Koch e il ministro dell'Interno di Salò, Guido Buffarini Guidi, aggiunsero 50 nomi alla lista inizialmente compilata dai tedeschi per la rappresaglia, rendendosi complici della più efferata repressione avvenuta a Roma contro la Resistenza.

Montezemolo morì da eroe nell'eccidio. Al suo fianco Don Pietro Pappagallo, al fianco delle famiglie vittime di repressioni e rastrellamenti, l'ex sottosegretario ebreo Aldo Finzi, antico sodale di Mussolini, partigiani di ogni colore e una lunga sequela di cittadini, ebrei e non, di Roma.

Vittima dell'alleanza fatale che fu definitivamente scardinata dall'Italia con la Liberazione. Una Liberazione a cui il colonnello Montezemolo lavorò quando ancora tutto sembrava perduto, lasciando ai posteri un esempio di fedeltà e patriottismo.

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