Caro Giornale, cè una storia diversa della Resistenza da raccontare, ma credo ci siano altre storie diverse e sconosciute che meritano attenzione. Una di queste passa ancora per Genova. Cè passata proprio nei giorni scorsi. Provo a raccontarla, così come lho appresa.
Domenica pomeriggio. Sui binari di Principe giunge un treno ideale. Un treno partito il due agosto 1980 da una stazione di Bologna dilaniata, sporca di sangue. Un treno carico d'orrore, d'odio, ma soprattutto d'ingiustizia. Ad aspettarlo, in una sala dell'hotel Savoia, la «Comunità Militante», il comitato «L'ora della Verità» rappresentato dall'avvocato Cutonilli e Luigi Ciavardini, ultimo imputato per la strage di Bologna. Ad ascoltarli una fitta platea, desiderosa di capire, di conoscere la verità su una delle vicende più terribili del nostro dopoguerra.
Con tono pacato, professionale, ma allo stesso tempo appassionato, l'avvocato Cutonilli presenta la cronaca di una stagione giudiziaria oscura, di un processo più politico che penale, di un impianto accusatorio drammaticamente instabile, per non dire persecutorio.
Luigi Ciavardini è innocente. Su questo non ci sono dubbi: lo dice Adriano Sofri, lo conferma l'ex presidente Cossiga. Tutto il processo per l'attentato alla stazione di Bologna appare costruito su dinamiche ideologiche, sul desiderio di non pensare, di non scovare una verità troppo costosa, troppo complicata da spiegare, legata inesorabilmente a quella calda estate dell'80 in cui, prima di Bologna, ad aprire una stagione misteriosa ci aveva già pensato un DC-9 abbattuto sui cieli di Ustica. Luigi Ciavardini lo spiega bene in questo freddo pomeriggio genovese. Ci voleva un colpevole, una matrice stragista, un capro espiatorio per tutti quei morti. Così, come venne apposta ad un solo anno dall'attentato, senza che neanche un processo si fosse concluso, quella famosa lapide a ricordo della «strage fascista», Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini vennero presi e gettati nel fango di un'accusa infamante, di un'indagine costruita a tavolino.
Mambro e Fioravanti sono già stati condannati in via definitiva, inchiodati da una testimonianza che definire poco attendibile risulta chiaramente un eufemismo. Massimo Sparti, criminale comune legato alla banda della Magliana, giura di aver fornito a Fioravanti, un documento falso per proteggere Francesca Mambro, riconosciuta, a detta dello Sparti, a Bologna il giorno dell'esplosione. Sparti pone a suffragio della sua testimonianza la presenza, durante l'incontro romano con il capo dei Nar, della propria famiglia. In tutte le sedi processuali la moglie e i figli negheranno l'esistenza di quell'incontro. Nel 1982 Massimo Sparti viene rilasciato dal carcere di Pisa, dove era detenuto, per un tumore al pancreas, deve essere operato d'urgenza per evitare la morte imminente. Non sarà mai operato, rimarrà libero e nemmeno Ennio Remondino, noto giornalista, potrà ritrovare la sua cartella clinica, bruciata in un incidente.
Massimo Sparti, senza sorprese, per il tribunale di Bologna è un testimone attendibile. Eppure qualcosa potrebbe andare storto in questa triste velina processuale. Un ragazzino, allora diciassettenne, latitante dei Nar, interrogato sui fatti in questione, giura di aver passato la mattinata dell'attentato in compagnia di Giusva Fioravanti e della Mambro, a Padova.
Il racconto dell'avvocato Cutonilli non ha finito di raggelare il sangue dei convenuti, ora tocca a Ciavardini. Tocca a quel ragazzo ribelle e criminale, diventato ora un problema troppo serio, diventato il primo alibi degli imputati perfetti. E come venirne fuori?
Spunta improvvisamente, nella storia, un certo Angelo Izzo, più noto come lo «l'assassino del Circeo». Izzo ne è certo, se ci sono di mezzo i Nar, per Bologna bisogna puntare dritto su tre ragazzini: Taddeini, Nanni De Angelis, Ciavardini. Questi non potevano non esserci. Peccato per Izzo che Taddeini e De Angelis la mattina della strage vengano filmati dalla Rai, di fronte a migliaia di persone, durante una partita di football americano. Inattendibile Izzo? Per carità colpevole solo Luigi Ciavardini che a football americano non giocava.
L'ex ragazzo dei nuclei armati rivoluzionari china il capo, commosso nel silenzio dell'aula dell'albergo. È stato sottoposto ad un processo di primo grado, che ha visto il Tribunale dei minori di Bologna assolverlo dal fatto, salvo poi condannarlo nel grado d'appello. Dai venticinque faldoni del processo, come si evince anche dal libro presentato per l'occasione «La Strage di Bologna» di Gianluca Semprini, le prove materiali della colpevolezza di Ciavardini non sono mai state prodotte. Lui, chiarendo, ci scherza pure sopra, ridendo mentre spiega ai genovesi più stupiti, come i magistrati bolognesi gli abbiano prima imputato la presenza alla stazione, con l'esplosivo in mano, e poi, non avendone le prove, il suo possibile ruolo di autista nell'azione. Il tutto completamente presunto, immaginato, mai accertato.
Proprio per questo la corte di cassazione lo aveva già prosciolto, prendendo atto di un'accusa del tutto infondata.
Ma l'incubo non finisce qui. Per i colpevolisti, Ciavardini avrebbe telefonato, il giorno prima del 2 agosto, alla sua ragazza ed a suoi altri amici a Ladispoli, per avvisarli di rinviare il loro viaggio a Venezia fissato per il giorno dopo. Secondo l'accusa egli avrebbe fatto cinque telefonate per avvisare tutti. Sarebbe la prova di un suo certo coinvolgimento nei preparativi della strage. Ma quelle telefonate non risultano, i testimoni interessati negano ogni contatto. Nonostante questo, a processo riaperto, Ciavardini è nuovamente condannato.
Questo brutto riassunto finisce qui, mentre un giovane quarantenne chiede alla Genova libera, di destra e di sinistra, il sostegno contro un'accusa infamante che per troppi anni ha nascosto la verità ad un intero paese, lasciando in libertà i veri colpevoli, negando giustizia ai parenti delle vittime.
Fra pochi mesi la corte di Cassazione si pronuncerà definitivamente; il 3 dicembre il comitato «L'ora della Verità» scenderà in piazza a Roma per una fiaccolata di speranza. La Genova libera, lontana dalle ideologie, quella Genova che ora sa, non potrà che essere presente.
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