La famigliola modello lascia la vecchia corte agricola, ora residence di pregio, dentro due furgoni funebri. Papà, mamma, tre fratellini: una storia che si credeva felice, che tutti ritenevano felice, chiusa irrimediabilmente in gelide bare di zinco. Sole pallido, brezza tagliente: l'autunno veronese fa da cornice crepuscolare a questo nuovo quadro di incomprensibile deflagrazione umana.
Un anziano vicino di casa, dal balcone del primo piano, piange lacrime di bambino. Uscendo dal cortile, piange pure il questore, che pure ne ha viste. Ma una mattanza come questa, mai. È la strage del focolare: il papà che prende una pistola della sua collezione, collezione che avrebbe fatto meglio a non cominciare mai, e in pochi minuti mette la parola fine su tutto e su tutti. La moglie, tre figli piccoli, il suicidio.
Cinque morti, l'altra sera, a San Felice Extra, piccola contrada alle porte di Verona: un'altra Italia di agi e di benessere ora incapace di darsi spiegazioni.
Non c'è giallo, non c'è mistero, non c'è caccia all'uomo. Il terribile puzzle viene ricomposto abbastanza agevolmente dagli uomini della questura. Il cervello che va in corto circuito è quello di Alessandro Mariacci, 43 anni, affermato tributarista in uno studio associato nel bellissimo centro storico di Verona, appena dietro Piazza Erbe. Nella serata di giovedì, intorno alle dieci e mezzo, l'epilogo di una vita tranquilla. Le sue ultime mosse sono semplici e precise. Prima scende in taverna, dove ci sono la moglie e il più piccolo dei tre figli. Lei sta guardando la televisione, il bambino sta giocando con i soldatini. Prima due colpi a Maria Riccarda. Poi un colpo a Jacopo, 3 anni appena. Dopodiché l'amato capofamiglia, ormai implacabile automa, sale due rampe di scale ed entra nella cameretta dove gli altri due figli stanno già dormendo, perché all'indomani devono andare a scuola. Spara pure su di loro. Filippo, 9 anni, e Nicolò, 6, muoiono nel loro lettino, all'età degli orsacchiotti, sognando figure angeliche e musiche celesti.
Infine, l'ultima tappa del macabro pellegrinaggio, nella camera matrimoniale: Alessandro Mariacci si distende sul letto e spara il sesto colpo, ponendo la pietra tombale su sogni, entusiasmi, desideri di una perfetta famiglia italiana. Così perfetta da non lasciare, adesso, alcuna spiegazione plausibile, a noi che ne avremmo così bisogno per placare tanto smarrimento. Quando, di mattina, la domestica romena arriva in casa e scopre l'orrore, un urlo lacerante apre l'affannosa e sconvolgente ricerca del perché.
È impressionante quanto ci faccia paura la labilità e l'instabilità della nostra mente.
Vorremmo sempre, istintivamente ed egoisticamente, sapere subito che l'assassino aveva comunque una molla, per quanto folle, a smuovere la propria furia omicida. Questo placherebbe la nostra ansia, allontanerebbe da noi lo spettro dell'ignoto e dell'inspiegabile, così da escludere che qualcosa di simile, un giorno, possa entrare nel modo più strano e più subdolo dentro la nostra stessa vita.
Stavolta, però, non è così. Non sembra così. La caccia al motivo è complessa, confusa, frustrante. Non c'è una lettera che spieghi, non risultano cause di irrisolvibili naufragi personali. Come sempre, nella bassa macelleria del rotocalco televisivo, a un certo punto c'è chi gioca duro, senza grandi scrupoli, annunciando la soluzione del mistero: ha ucciso perché malato di tumore. Ma basta poco per chiarire: in realtà, il tributarista aveva subito un intervento per la rimozione di un tumore al testicolo nove anni fa. Tutto felicemente risolto, però, tant'è vero che in seguito ha avuto tre figli, uno di seguito all'altro.
La verità? In questa penosa storia convivono fatti certi e ipotesi fantasiose.
Gli elementi sicuri riguardano la vita personale di Alessandro Mariacci e di sua moglie. I due si conoscono, ragazzini, tra i banchi del glorioso liceo classico cittadino, il Maffei. Lui è nativo di Piacenza. A sei anni ha subito il peggiore dei traumi: figlio unico, è rimasto orfano. I genitori sono morti in un incidente stradale. Così, è la nonna veronese a prendersi carico della sua crescita e della sua educazione.
Maria Riccarda invece è una Bottagisio, che a Verona significa già tutto: famiglia antica e nobilissima, proprietaria di antiche e prestigiose proprietà immobiliari. Suo, all'epoca, il palazzo di Villafranca dove fu firmato nel 1859 il famoso Trattato.
Alessandro e Maria Riccarda si innamorano al liceo e non si lasciano più. Studiano assieme all'università, dove lui diventa tributarista e lei avvocato civilista. Dopo la laurea, vanno a lavorare insieme nello stesso studio, associati al collega Giulio Gastaldello. Quando arrivano i bambini, Maria Riccarda compie la scelta di vita: dopo la nascita del secondo, sei anni fa, decide di fare la mamma a tempo pieno. In studio la vedono soltanto sporadicamente. La sua felicità, la sua piena realizzazione, ormai, è in casa. Tre anni fa, quando nasce Jacopo, decide col marito di uscire fuoriporta, ricavandosi un nuovo nido nella cascina ristrutturata di San Felice Extra.
No, niente di storto o di stonato, in questa armonia domestica. Professione apparentemente ben avviata, nessun apparente problema economico, legame apparentemente forte tra i coniugi. In apparenza, qualcosa di simile alla perfezione. Dice il socio di studio, Giulio Gastaldello: «Alessandro e Maria Riccarda erano affiatatissimi. Quando ho saputo, non riuscivo a credere. Avrei creduto più facilmente se mi avessero annunciato l'invasione dei marziani...».
E allora? Quando un equilibrio salta in questo modo, quando il black-out arma la mano di un tranquillo uomo della borghesia di provincia, qualcosa si nasconde dietro l'apparenza. Qualcosa che improvvisamente ed esplosivamente manda tutto all'aria, fino alla distruzione totale. Faccende di gelosia? Non risultano. La pista più battuta è quella del lavoro. Il sito dello studio professionale è attualmente oscurato. La segretaria non apre la porta e sbatte il telefono. Gli inquirenti stanno scavando nell'attività professionale del dottor Mariacci. Con l'aria che tira dopo i crolli della finanza, il dubbio su un ipotetico tracollo personale va chiarito subito. Per quel che serve.
Sì, perché non è che conoscere il motivo di tanta follia serva a cambiare qualcosa. Forse serve soltanto a noi, che ne abbiamo un gran bisogno per placare le nostre ansie nascoste. Certo non servirà più a quelle tre creature e alla loro mamma, vittime inermi dell'unico uomo sulla terra che non avrebbero mai temuto.
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