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Stragi rosse del dopoguerra: dopo 61 anni via all’indagine

I massacri nel triangolo della morte continuarono fino all’aprile del 1948

Pierangelo Maurizio

Dopo 61 anni dalla fine della guerra e 58 dalla fine del terrore rosso in Emilia Romagna, nella rossa Bologna il procuratore capo Enrico Di Nicola ha disposto un’inchiesta sulle stragi del dopoguerra nel triangolo della morte, proseguite fino al voto del 18 aprile 1948 quando fu ristabilita la legalità democratica. E quanto meno è la smentita a quanti sostengono - certamente una maldicenza - che a Bologna mai è arrivato un procuratore, un questore o un prefetto che fosse sgradito al Pci.
Le indagini hanno preso il via da una lettera personale di Fabio Garagnani, deputato di Forza Italia, a Di Nicola. L’onorevole Garagnani ha richiamato l’iniziativa presa dal procuratore militare di Padova, competente anche per l’Emilia Romagna, che qualche settimana fa ha deciso di indagare sui massacri che sconvolsero il Nord Italia negli anni della guerra civile. Su quelle stragi, secondo il magistrato militare, l’amnistia del Guardasigilli Palmiro Togliatti non era applicabile, visto che si riferiva ai crimini commessi fino al '46.
«Lontano dal sottoscritto ogni desiderio di vendetta come pure la volontà di rialzare vecchi steccati, voglio solo, e con me lo vogliono migliaia di bolognesi, la verità» ha fatto sapere Fabio Garagnani al procuratore capo, aggiungendo nella sua lettera: «Confesso che rimango perplesso per l’indifferenza che in questi anni ha caratterizzato chi doveva pur procedere all'accertamento della verità».
Questa volta ha toccato nel segno. Nei giorni scorsi funzionari di polizia incaricati dalla Procura bolognese si sono fatti dare dall’onorevole Garagnani i nomi di chi è ancora vivo e può testimoniare (oltre all’indicazione di documenti da acquisire). Sono i tanti parenti delle vittime, che tuttora non sanno dove furono fatti sparire i loro cari, e diversi parroci anziani ma dalla memoria lucida.
In passato solo in pochissimi casi circoscritti è stata fatta luce, e in numero ancora più esiguo sono stati individuati gli esecutori materiali. Monsignor Enelio Franzoni, medaglia d’oro al valor militare, reduce dalla prigionia in Russia, tornò a Bologna nel '46. «Volevo avere un ricordo del mio ritorno dalla prigionia e presi appuntamento con il fotografo. Solo che il giorno dopo il fotografo non si presentò. Era stato ucciso al posto di blocco sul ponte del Reno dai partigiani rossi. Ecco, quello fu il biglietto da visita...» ricorda. Monsignor Franzoni fu testimone, a San Giovanni in Persiceto, dell’assassinio di Giuseppe Fanin. «Una mattina trovarono un fagotto per strada. Gli avevano dato tante botte che era irriconoscibile. Era un sindacalista cattolico, questo era il guaio: non poteva permettersi di dire cose che erano monopolio del partito comunista. Una tragedia enorme». Anche a monsignor Franzoni un giorno arrivò una lettera: «Sei tornato vivo dalla Russia, ti seppelliremo qui». «Tutti sapevano che a fare queste cose erano i militanti del Pci - dice - ma tutti dovevano fare finta di niente».
Ventimila circa i morti, secondo le recenti ricostruzioni di Giampaolo Pansa. «Anni di delirio, fu una reazione uguale e contraria a quello che avevano fatto i fascisti. Ma la cosa più incredibile - commenta l’anziano prelato - è che abbiamo ritrovato i nostri morti in Russia, ma non riusciamo a trovare i morti massacrati tra le nostre case».


Difficilmente l’inchiesta giudiziaria approderà a qualche risultato concreto. Ma forse potrà aiutare a far sì che i familiari dei nostri desaparecidos possano sapere dove portare un fiore. Sarebbe già molto.
pierangelo.maurizio@alice.it

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