L a casa editrice Medusa pubblica gli atti del Processo a Iosif Brodskij, atti di cui siamo debitori a Frida Vigdorova, giornalista e attivista dei diritti umani nell'Unione Sovietica del 1964. Era ora che venissero pubblicati! Si tratta di un testo memorabile, perspicuo, che documenta il conflitto insanabile tra la libera creatività del poeta e lideocrazia totalitaria comunista. E qui finiscono i meriti dell'edizione.
Già, perché gli atti del Processo sono restituiti in forma di Dramma didattico sulle trascrizioni originali delle udienze, il che significa che sono introdotti in una fiction che vede due intellettuali occidentali ascoltarne la registrazione e commentarla poco prima della Caduta del Muro di Berlino, nel 1989. Lidea forse era buona: mettere a confronto la supponenza di due intellettuali imbottiti di Lacan e Foucault, di Barthes e di Derrida con la scabrosità del conflitto tra il giudice sovietico Saveleva e il poeta russo Brodskij. L'idea, però, non decolla: i due intellettuali sono criptici e involuti come i testi di Lacan e si baloccano con frasi del tipo: «Bisogna rendersi conto, traducendo, che non esiste nessuna opera e nessun autore. Solo le nostre posizioni, rispetto o sopra o sotto qualcosa di nostro che abbiamo attaccato al gancio dell'autore come un quarto di bue».
Ma questo è il meno. Scrivono i due autori del dramma didattico, Cristiano Casalini e Luana Salvarani, nella postfazione. «A noi non interessava Brodskij come scrittore, in quanto tale: convinti (...)che una scrittura si rivela solo nel contatto profondo con la lingua in cui è stata pensata». Il russo, quindi: perché è chiaro che Brodskij continuava a pensare in russo anche nelle scritture americane. E non conoscendo il russo, questa via ci rimaneva preclusa». Ora, «dalle vostre parole, vi giudico», verrebbe da dire. Perché tradurre in italiano questi Atti dalla versione francese e non dall'originale russo? Non si merita forse il lettore italiano del 2010 di trovarsi davanti un testo tradotto direttamente dall'originale?
Partire dal francese implica aumentare esponenzialmente il rischio di errori. Di conseguenza, nel libro, «Vechernij Leningrad» (usiamo la traslitterazione americana) diventa un francesissimo «Leningrad- Soir», il romanziere Sholokhov diventa un incomprensibile «Colochov», lo scrittore cubano Pablo Armando Fernandez diventa un qualunque «Hernandez», «l'aiuto altrui» diventa «aiuto straniero», le «culture di un altro popolo» diventano «le culture popolari», «scrivere poesiole» diventa «vivere di espedienti» ecc. ecc. Necessita un chiarimento la gustosa traduzione del verbo russo «krasnet'», «arrossire». Tra le altre cose, Brodskij viene accusato di aver scritto versi pornografici. Un testimone dell'Unione degli Scrittori - l'associazione che aveva già provveduto a condannare l'Achmatova e Pasternak - afferma: «Voi arrossireste, compagno giudice, se li leggeste». «Arrossire», in francese «rougir». I nostri autori italiani traducono: «Voi ruggireste, compagno Giudice, se ne faceste conoscenza». Perbacco, che grinta!
Poco oltre si parla dell'ambiente di intellettuali frequentato da Brodskij. I nostri autori traducono dal francese: «Faceva parte di un gruppo di amici che accoglievano la parola 'lavoro' con un riso satanico. (...) Shakhmatov (uno dei suoi amici, appunto, ndr) è stato condannato. E di conseguenza Brodskij, questa latrina». Un testimone si permette di dare della «latrina» al futuro Premio Nobel Brodskij! E nessuno dice niente?! L'originale russo dice, in realtà: «Ecco da quale posto fetido è saltato fuori Brodskij». Con il termine «latrina», cioè, viene definito l'ambiente da cui viene il poeta, non Brodskij stesso. È già qualcosa. Da ultimo, una spiegazione importante per comprendere la difesa dell'avvocato di fronte all'accusa che Brodskij guadagnasse poco e fosse dunque un 'parassita'. Nel testo compare più e più volte l'espressione «parola per parola», usata come sostantivo o aggettivo. Sta ad indicare una traduzione interlineare, sorta di falsariga - «parola per parola», appunto - che viene fornita a Brodskij per tradurre da lingue che lui conosce poco. Occorreva forse una noticina, ma non è chiaro se gli autori del Dramma didattico abbiano compreso bene la faccenda. Se così fosse non avrebbero messo in bocca all'avvocato la domanda «Le traduzioni 'parola per parola' sono pagate meno bene?» invece di «Sono pagate meno le traduzioni, se si traduce basandosi su di una falsariga 'parola per parola'?». Analogamente, non avrebbero attribuito a uno spettatore la frase «Adesso anch'io mi metto a fare un 'parola per parola' e a tradurre poesie» invece di «Adesso prendo anch'io una traduzione parola per parola e mi metto a tradurre poesie».
Mi fermo qui. Mi chiedo soltanto: non sarebbe stato più utile produrre un'edizione senza troppe pretese intellettuali, e però tradotta dall'originale, senza giudici che ruggiscono e poeti scambiati per latrine?
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