Gli oracoli Maya l’avevano previsto. La Terra si sarebbe inchiodata sul suo asse, come una trottola esausta. I giorni sarebbero invecchiati in tramonti interminabili. Anni dilatati in secoli. I Dogon, misteriosa tribù del Sahel sahariano, calibravano i loro capodanni (uno per ogni cinquanta dei nostri) sull’orbita di Sirio B intorno alla stella madre, grappolo astrale di Orione, otto anni luce di distanza da noi, invisibile a occhio nudo. Alieni anfibi li avevano istruiti a non fidarsi del calendario solare, il pianeta in rivoluzione imprecisa intorno a un’insignificante nana gialla.
La Terra rallentava. Non si era alla catastrofe, ma che quel fine 2008 dell’era cristiana non quadrasse era ormai chiaro. «No problem» risposero gli scienziati, i razionalisti. «Daremo un’aggiustatina all’Utc, le Coordinate universali del tempo» aggiunsero i signori delle lancette, che dal Naval observatory di Washington mettevano in riga gli orologi atomici del mondo. Così il conto alla rovescia verso l’anno nuovo, dopo il classico 23:59:59 avrebbe conteggiato l’antidoto tecnico, 23:59:60. Un secondo in più.
Ma qualcosa andò storto nell’allineamento. Certo, i tappi di spumante ricaddero sulle tavolate. Le labbra si unirono nel bacio d’augurio. Le mani riuscirono a stringersi. I motori degli aerei in volo, dei bastimenti in mare, dei treni sulle rotaie non persero (o guadagnarono) un colpo. Niente di paragonabile a un millennium bug. La rete informatica fu solo scossa da un brivido, come un frusciare di brezza nel bosco, un incresparsi innocente di onda anomala. Ma quando, in quel secondo artificioso, milioni di pollici pigiarono il tasto «invia» sui telefonini per lanciare gli sms, fu come se l’enorme massa critica dei messaggi (miliardi di bit) fosse inghiottita da un imprevedibile buco nero nella cronodimensione, una bolla, formata da quella frazione di tempo nomade e ingannevole, che filava lungo i fusi orari sulla linea dell’Equatore.
Non fu azzeramento dei messaggi. Quel secondo abnorme funzionò da barriera invisibile tra emittente e destinatario. I gestori di telefonia mobile gemettero. Il guasto monetario era incalcolabile. La maledetta sacca era come una gigantesca goccia di mercurio sospesa nelle celle eteree: inglobava ogni messaggino. In seguito si comprese che quell’inciampo sarebbe stato un’occasione di scoperta culturale unica, irripetibile. Quando le cose - come vedremo - si aggiustarono, gli studiosi di comunicazione (linguisti, critici, semiologi, esteti) disposero di un oceano istantaneo di testi, divulgati in seguito dai computer in forma anonima, unificati dal tema, gli auguri di Buone Feste e di fine/inizio d’anno, e dalla fonte, quella che gli alfieri del Romanticismo avevano chiamato con entusiasmo «anima popolare». Non letteratura colta, d’arte, ma «gesti verbali in forme semplici», per usare una definizione dell’esperto di folclore André Jolles, uno tsunami a suo modo poetico, stretto affiliato dell’epica antica, sgorgata anch’essa dall’immaginazione collettiva, non dalla penna di un singolo artista, con tanto di firma.
Gli psicoterapeuti più cinici ne liquidarono la maggior parte come placebo da 160 caratteri per dolcificare la solitudine. I sociologi descrissero le sfumature della captatio benevolentiae: il pensierino artefatto per ricordare a chi conta che esistiamo, che siamo lì, pronti all’impegno fedele. Gli studiosi della parola sfogliarono un atlante impareggiabile. Vi si stagliavano le forme semplici. La leggenda e la saga, quando tra le espressioni dell’affetto s’insinuava la figura dell’eroe santificato, il vegliardo bonario, campione di una maestria sovrumana, quella di azzeccare i regali. Si passava alla fiaba, «modello Grimm», quando qualcuno evocava, in anticipo, la vecchina che dà il colpo di spugna al ciclo festivo, ma con la dose finale, consolatoria, di dolciumi.
Il mito era riconoscibile nel tema dell’annuo nuovo «cornucopia», un torrente di felicità e di beni: l’eterno bagliore dell’età dell’oro, cara ai poeti classici, morte e rinascita del Sole invitto, il gonfiarsi, sotto la terra, del seme del grano, indizio di prosperità e continuità della stirpe. Non mancava l’enigma, gioiellino del gusto arcaico di raccontare, coinvolgendo chi ascolta nel ginepraio stuzzicante dell’indovinello. Non parliamo dei rozzi travestimenti linguistici, scorciatoie da tastiera (ki per «chi», 6 per «sei»...), ma di parole in cifra e di anagrammi, di scherzi (Witz) come l’AGURUIIDLICEFEANUOVNONO che il mittente giurava di aver acquistato in scatola di montaggio, come un mobile svedese, un bel risparmio in giorni di crisi. Aveva però lasciato al destinatario il gioco (ecco il labile valore aggiunto) di riassemblare lo scontatissimo augurio.
C’era chi nobilitava il testo personale con la massima, il motto, desunti da prontuari (cartacei o web) di pensieri edificanti sul tema. Furoreggiava il «Change!» che Barack Obama aveva messaggiato, con successo, a milioni di potenziali elettori. In altri casi, era libera la scelta di citare la fonte, o di lasciare al ricevente il piccolo tarlo del dubbio erudito: farina del sacco dello scrivente, o di qualche professionista della frase ad hoc?
Ma torniamo a quel secondo terribile. Il business del cellulare strappò ingegneri e cervelli ai veglioni, bloccandoli ai monitor in cerca della soluzione. Che non emergeva. Si giunse alla proposta di un premio planetario a chi fosse capace di eliminare il blocco. Quattro giorni dopo, 4 gennaio 2009, un hacker di Hong Kong, un ragazzo sveglio (nickname Neos, dal greco, «innovativo», per l’arditezza dei suoi esperimenti) comunicò di avere in memoria l’algoritmo giusto. Era un «retroattivo», la mossa più banale, ma anche la più geniale: riportare il conteggio al 23:59:59. Ma il giovanotto (un idealista) metteva la sua condizione. I profitti degli sms recuperati (dollari, euro, yen a miliardi) avrebbero finanziato un anno davvero originale: pozzi scavati in zone di sete ancestrale, ospedali nuovi, scuole, migliaia di bambini strappati alla fame e al male nel mondo.
Le potenze della telefonia patteggiarono. I politici misero il loro fido. Il 2009 fu ricordato nelle cronache come l’anno del secondo smarrito. Ma anche di quel po’ di sale in zucca ritrovato.
Ezio Savino
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