La sentenza della Corte d’assise di Milano porta la data del 27 novembre 1986: condanna all’ergastolo. Ventitrè anni dopo, un comunicato di Finmeccanica annuncia l’accordo tra l’azienda di Stato italiana e il governo libico per una fornitura ferroviaria da 541 milioni di euro. Nelle due carte, compare lo stesso nome. Quello di Said Mohammed Rashid. Per la giustizia italiana, era un agente segreto, a capo degli squadroni della morte scatenati da Gheddafi in tutta Europa a liquidare gli oppositori del regime. Ventitrè anni dopo, lo stesso Rashid è il numero uno delle Ferrovie di Stato libiche. E in questa veste, il 22 luglio 2009, alla presenza del presidente di Finmeccanica Guarguaglini, del nostro sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi e del ministro dei trasporti libico Muhammad Ali Zidane, è Rashid a firmare il contratto per la megafornitura. L’incontro avviene a Tripoli: anche perchè Rashid non può entrare in Italia, dove verrebbe arrestato per scontare la condanna all’ergastolo.
Oggi, lo 007 con licenza di uccidere divenuto manager di Stato chiede alla giustizia italiana la revisione del processo che portò alla sua condanna. La motivazione è simile, per alcuni aspetti, a quella con cui il terrorista rosso Cesare Battisti si oppone all’estradizione dal Brasile: il processo sarebbe stato celebrato a sua insaputa, senza dargli la possibilità di difendersi. La richiesta è stata depositata alla Procura generale di Milano da parte di Fabio Lattanzi, avvocato di fiducia dell’ambasciata libica di Roma. La richiesta di revisione si è arenata davanti ala misteriosa sparizione del fascicolo del processo dagli archivi del tribunale di Milano. Ora, altrettanto inspiegabilmente, il fascicolo è riapparso. E la richiesta di Rashid di un «giusto processo» potrà seguire il suo corso.
Fondata o meno che sia, al richiesta ha il merito di accendere i riflettori su una vicenda che altrimenti sarebbe rimasta oscura: la metamorfosi dello 007 libico, e la singolarità di un accordo siglato dall’Italia con un signore che lo stesso Stato vorrebbe all’ergastolo. É appena il caso di segnalare che l’accordo Finmeccanica-Libia del 2009 ha fatto da apripista ad un proficuo rapporto, culminato nei giorni scorsi con l’ingresso del governo di Gheddafi nell’azionariato dell’azienda italiana.
Di certo, a leggere la sentenza che condannò all’ergastolo Rashid - scritta da Camillo Passerini, presidente della Corte d’assise di Milano - ci si ritrova catapultati in pieno nella guerra di spie che si svolgeva nell’Europa all’inizio degli anni Ottanta. La vittima si chiamava Azzedine Lahderi, uomo di affari libico espatriato in Italia dopo la rivoluzione di Gheddafi, ma rimasto a lungo in buoni contatti con il suo Paese: tanto da venire presentato dal capo del Sismi Giuseppe Santovito al manager di Stato Giancarlo Elia Valori come tramite per ottenere appalti pubblici in Libia. Ma nel 1980 il colonnello Gheddafi lancia l’ordine: gli espatriati in Europa devono rientrare in patria, altrimenti verranno uccisi. Lahderi si sottrae. Per convincerlo, arriva in Europa proprio lui, Rashid, indicato nella sentenza come «capo dei tribunali rivoluzionari» e «capo di un gruppo di agenti libici operanti in Europa».
Rashid e i suoi agenti si muovono tra Svizzera, Germania, Italia, a volte intercettati dai servizi segreti occidentali. Il dissidente Lahderi accetta la convocazione in territorio neutrale, in Svizzera. Il 10 giugno 1980, Rashid telefona alla moglie di Lahderi, inferocito perché il dissidente non si è presentato all’appuntamento. La mattina dell’11 giugno, Lahderi rientra in Italia con il Tee Zurigo-Milano. Alle 17,50 arriva alla Stazione Centrale di Milano.
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