Uno strappo che non si riesce a ricucire

Uno strappo che non si riesce a ricucire

Una lunga scia di morti ammazzati in ragione dell’odio sublimato in ideologia unisce i «vinti» di Salò con i giovani missini uccisi negli anni Settanta: il proseguimento di quella guerra civile che aveva insanguinato il destino dell’Italia in seno al secondo conflitto mondiale.
Storie di ragazzi di destra, iscritti alle organizzazioni giovanili missine e non, che nello spietato regolamento dei conti che la storiografia ufficiale ha chiamato «Anni di Piombo» si sono trovati crivellati dai colpi della P38 o pestati a sangue negli scontri di piazza.
I «cuori neri» pesano oggi sull’identità della destra più delle memorie degli eccidi del dopo 25 aprile: i morti degli anni Settanta restano una pagina non risolta al punto che alcuni politici oggi continuano a dividersi tra il culto radicale dei «ragazzi neri» e quello pragmatico del governo. Certo: il Msi di allora ebbe le sue colpe, le sue cecità, i suoi anacronismi, tuttavia rimangono l’unico elemento identitario di un percorso politico che ha via via cancellato ogni ragione della precedente esistenza. Nella ricerca di una rapida quanto effimera legittimazione ciò che è sorto dalle ceneri del Msi ha optato per la presa d’atto che una memoria condivisa dalla storia d’Italia non è ancora possibile, che la discriminazione antifascista resta un valore e che il poter governare giustifica pragmaticamente il rifiuto e il rinnegare la propria memoria. Ugo Venturini, a Genova, Carlo Falvella, i fratelli Mattei, Mikis Mantakas, Sergio Ramelli, Angelo Pistolesi, Giacquinto, Cecchetti, Cecchin, Angelo Mancia, Nanni de Angelis, Paolo di Nella, i caduti di Acca Larentia per non essere più morti di serie B, sconosciuti e/o dimenticati da chi ebbe queste vittime militanti fra le proprie fila con un atto di coraggio senza precedenti devono essere consegnati alla «memoria condivisa» una volta per tutte e definitivamente davanti alla Storia.


L’assenza di una volontà di ricucire uno strappo, di rimarginare una ferita ancora aperta, di elaborare «una volta per tutte» il lutto per questi figli d’Italia significa la propria autodistruzione, significa ammazzare due volte quei ragazzi dai «cuori neri».
Distintamente
Continuità Ideale - Genova

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