RomaNo, nessun commento, ovviamente, sulla casa di Montecarlo e sul documento di Santa Lucia, ma niente nemmeno sullo scontro tra il premier e il presidente della Camera. «Qualcuno sostiene che io di parole ne dica persino troppe - ha scherzato laltra sera a Cinecittà Giorgio Napolitano - per cui io cerco di pronunciare solo quelle necessarie». Chiaramente il caso Fini viene seguito con «attenzione e preoccupazione», però questo non è il momento di intervenire. Dal Quirinale dunque silenzio e profilo basso, almeno fino alla settimana prossima, quando Silvio Berlusconi leggerà alla Camera i suoi cinque punti per rilanciare lazione di governo. È quella infatti lunica sede considerata istituzionalmente corretta per far emergere contrasti e dissonanze: dal dibattito seguente e dal voto finale si capirà se il Cavaliere dispone ancora di una maggioranza.
Per il resto il capo dello Stato si chiama fuori. «Quello che doveva dire lha detto», spiegano dal Colle. È successo ad agosto quando, in due o tre occasioni, Napolitano ha chiarito che non esiste una procedura per far dimettere Gianfranco Fini e che comunque non sta a lui «sfiduciare un organo costituzionale». E al festival di Giffoni, quando ha aggiunto: «Io ho il dovere di essere fuori della mischia perché chi ha scritto la Costituzione ha voluto che fosse così. Il mio è un potere neutro».
Il presidente interverrà, aprendo le consultazioni, solo se e quando verrà definitivamente constatata linesistenza di una maggioranza, quando cioè la questione non sarà più politica ma istituzionale. Ora no, è troppo presto, siamo ancora nella fase della «dialettica», sia pur «aspra», tra i partiti, un terreno vietato. Per questo Napolitano in questi giorni preferisce parlare dei problemi del Paese, come leconomia, la scuola, loccupazione.
Certo, resta lallarme forte del Quirinale per una situazione generale che si sta slabbrando e che potrebbe avere dure ripercussioni. Con gli attuali chiari di luna, scrive il capo dello Stato a Emma Marcegaglia in un messaggio per il centenario della Confindustria, lItalia avrebbe bisogno di coesione e non di fratture, di stabilità e non di crisi di governo. «Particolare attenzione - avverte - deve essere rivolta alla famiglie più esposte ai contraccolpi della crisi e ai giovani, le cui opportunità di integrazione nel mondo del lavoro sono insufficienti e incerte». In più si rischiano «tensioni sociali e squilibri territoriali».
Sarebbe quindi il momento di «mobilitare tutte le risorse» e di cominciare a remare tutti dalla stessa parte.
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