Non si può dire che abbiano torto quanti spesso accusano la maggioranza - o talune sue componenti - di fare leva sul timore dei ceti popolari dinanzi al nuovo: quando avversa l’immigrazione o quando diffonde l’illusione che ci si possa chiudere alle importazioni cinesi e alla globalizzazione economica. Bisogna però dire che nelle ultime settimane la situazione si è rovesciata, poiché adesso sono soprattutto i cosiddetti progressisti a voler sfruttare un’opinione pubblica esposta all’emotività e spesso incapace di avere opinioni informate su troppi temi.
Nell’occasione dei referendum su acqua e nucleare, infatti, sono proprio i radical-chic del politicamente corretto a «giocare sporco», nello loro sforzo di mobilitare gli istinti invece che convincere i cervelli. Ma se non si mantiene la discussione nei binari della razionalità e della comprensione dei problemi reali, quello che viene meno è il rispetto per l’altro, insieme alla possibilità di un confronto proficuo.
Ciò è del tutto evidente nel caso del nucleare, un tema che può e deve essere oggetto di discussioni animate, ma su cui non è legittimo fare bassa propaganda. E invece sono in molti, specie dopo il disastro di Fukushima, che giocano con i sentimenti e le paure della gente comune, priva per definizione di conoscenze specialistiche e neppure in grado di reperirle con facilità. In un’Italia più matura, allora, bisognerebbe fare in modo che molte più persone sappiano quanto costa un kilowattora prodotto in Francia grazie al nucleare e quanto costa, in Italia, scaldare le case con il fotovoltaico. Invece sembra che le sbrodolate di Adriano Celentano possano sostituire ogni analisi, evitando perfino il confronto tra i morti causati dal nucleare e dalle altre fonti energetiche.
Lo schema al centro dei dibattiti di questi giorni è un po’ il seguente: bene contro male, sicurezza contro rischi, interesse pubblico contro profitto privato. Sulla questione della pericolosità dell’energia atomica, non si tratta solo di comprendere che tale fonte è molto meno pericolosa di quanto si voglia far credere, ma che soprattutto si sceglie sempre tra rischi (e opportunità) di un tipo e rischi (e opportunità) di altro tipo. La narrazione ecologista di quanti vogliono farci credere che esista una soluzione perfetta e a costo zero cela insomma un imbroglio che va smascherato.
Analogo discorso vale per l’acqua, dato che chi è contro la possibilità che tale risorsa preziosissima sia gestita da imprese private si dimentica del fatto che l’assai moderata riforma introdotta dal decreto Ronchi - la quale non comporta alcuna privatizzazione - vada intesa quale misura minima per cercare di evitare corruzione, politicizzazione e sprechi. Essa permette che chi investe nella rete idrica ottenga profitti (come è giusto), ma soprattutto punta a favorire l’assegnazione dei servizi tramite gara.
Naturalmente c’è sinistra e sinistra. E infatti l’altro giorno, al Festival dell’economia di Trento, è stato un ex ministro del governo Prodi quale Franco Bassanini a dichiarare che «se dovesse passare il referendum sull’acqua faremmo un tragico passo indietro in direzione di una minore liberalizzazione». Così come fa bene Chicco Testa a ricordare il numero dei morti causati dall’impiego del carbone.
Nella politica italiana c’è allora bisogno che le voci della ragione e della concretezza prevalgano sulla retorica dei Masaniello che si fanno fotografare mentre bevono acqua pubblica: come nel caso del neo-sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. In questo senso, la scadenza dei prossimi referendum è più importante di quanto non si creda.
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