Strategia Pd: far dimenticare Romano

Il vero obiettivo: elezioni col Prof lontano da Palazzo Chigi per distogliere l’attenzione dai suoi flop. Tregua armata Veltroni-D’Alema

da Roma

È un Giorgio Napolitano «molto preoccupato» quello che hanno incontrato ieri le delegazioni salite al Quirinale.
Preoccupato perché a lui, come del resto all’intero centrosinistra, appare chiaro che senza un via libera di Silvio Berlusconi, nessuna strada alternativa alle elezioni in primavera sia percorribile. Neppure quella richiesta «minimal» che il Pd veltroniano sta mettendo sul piatto: un mini-governo di chiaro stampo istituzionale (per questo il nome di Marini, presidente del Senato, è considerato il più neutrale e quindi l’unico spendibile), con data di scadenza incorporata e mandato circoscritto. Ritoccare la legge elettorale e andare al voto a giugno, anziché ad aprile.
L’obiettivo di questa manovra di dilazione, in fondo davvero poca cosa, è chiaro: arrivare all’apertura della campagna elettorale senza Prodi a Palazzo Chigi, avere qualche mese per «far dimenticare» l’esperienza fallita di governo e il «caravanserraglio», come dice Rutelli, della sua coalizione. Veltroni ha in mente una campagna elettorale tutta all’insegna della «novità» e ha fretta di archiviare Prodi. Obiettivo che, si assicura da più parti nell’Unione, condividerebbe anche il capo dello Stato. Perché come spiega il socialista Villetti, reduce ieri dal colloquio al Quirinale a nome della Rosa nel pugno, «Prodi, con le sue scelte, ha reso più complicata la gestione della crisi, dopo che il Senato ha certificato la fine della maggioranza», e Napolitano non gliene è per nulla grato.
Ma nel Pd c’è la consapevolezza che anche su questo gli obiettivi sono divergenti da quelli del leader dell’opposizione: «Berlusconi non ha alcuna intenzione di far dimenticare Prodi, lo sappiamo. Quindi è probabile che a Napolitano dica che per lui va benissimo lasciarlo a Palazzo Chigi fino al voto».
Così si assisterà al paradosso del maggior partito della ex maggioranza che durante le consultazioni non farà il nome del suo premier uscente (non ne farà nessuno, dando per scontato il proprio ok a Marini), e di un Cavaliere che invece gli concederà l’onore delle armi. E il regalo (che Prodi si aspetta) di portare lui il centrosinistra al voto, restando in carica per gli affari correnti.
La speranza resta quella di trovare una sponda nell’Udc: quando parla di un governo «con chi ci sta» per «salvare l’Italia», D’Alema lancia il messaggio che Forza Italia non sia indispensabile per farlo, e cerca di attirare Casini con l’amo del sistema tedesco. Ma Rutelli, che con il capo Udc ha avuto un colloquio, non pare ottimista: «O c’è anche Berlusconi, o lui non può muovere un passo».
Per capire quale sia il vero stato d’animo nel Pd, bastava ieri assistere all’adunata dalemiana a Roma, per il decennale della Fondazione ItalianiEuropei. Se ne deduceva rapidamente che il Pd considera le elezioni ormai alle porte: D’Alema si è ben guardato dal pronunciare la requisitoria anti-Veltroni che si preannunciava alla vigilia della crisi, anzi ha insistito sulla necessità di dare un «mandato pieno» al segretario. Niente autolesionismi in campagna elettorale, l’unità è obbligatoria.

E al tempo stesso la grande esibizione di muscoli e di truppe, e la presenza in sala di esponenti di diverse aree, come Letta e Fioroni, la dicono lunga sul fatto che ora ci si prepara ad un’altra guerra, quella per la composizione delle liste elettorali.

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